Il Sindaco Profeta: Giorgio La Pira e la Politica che fa paura agli ideologi di oggi.

Sarebbe stato censurato, divisivo. Oggi, Giorgio La Pira metterebbe in crisi destra e sinistra (come già al suo tempo), ma troverebbe una più forte opposizione nel fatuo ideologismo delle tifoserie della politica.

Giorgio La Pira (1904-1977) è una figura poliedrica e affascinante della storia italiana del Novecento: accademico, giurista, politico, sindaco e, soprattutto, un uomo di profonda spiritualità. La sua vita fu una testimonianza coerente di come la fede possa tradursi in impegno concreto per la giustizia sociale e la costruzione della pace, lasciando un'eredità che ancora oggi interroga e ispira.

Citato, tirato per la giacca, oggi La Pira è spesso esempio e materia per convegni. Ma chi fu nella vita quotidiana il Sindaco oggi venerabile per la Chiesa Cattolica?

Un profeta è spesso scomodo, se esso è un Sindaco, rischia di esserlo ancora di più. La Pira fu profeta nel senso pieno del termine, incarnando una ispirazione divina in un mondo in vorticosa crescita che vedeva lievitare le ingiustizie e aumentare i solchi tra classi sociali. In un mondo in guerra seppe parlare di Pace in modo quasi estremo. In un mondo che si secolarizzava portava la preghiera nei consessi politici. 

Il dibattito politico di oggi si sta avvitando su questioni che furono affrontate da La Pira. Lo scenario internazionale minacciato dai venti di guerra; il lavoro e la questione sociale; le povertà e i diritti. Il Sindaco di Firenze lo affrontò senza ideologia ma con il Vangelo. A chi non si ferma alla patina della sua biografia, il suo esempio diviene davvero arduo, scomodo, complicato. Tuttavia, la sua vicenda biografica e il suo impegno politico sembrano essere necessari, quasi una risposta, in una società che sembra gelare il sangue della religione e incancrenire i dibattiti sulle ideologie.


L'Attualità dell'Impegno Politico di La Pira

L'azione politica di La Pira, in particolare come sindaco di Firenze dal 1951 al 1956 e dal 1960 al 1964, fu caratterizzata da una visione evangelica e profetica, ancorata ai principi della Dottrina Sociale della Chiesa. La sua attualità risiede nella sua capacità di affrontare le sfide sociali ed economiche con un approccio radicale e innovativo, ponendo al centro l'uomo e i suoi bisogni essenziali.

Oggi, la Rerum Novarum, l'enciclica che fondò la dottrina sociale della Chiesa viene riscoperta ma, non è un segreto, era stata criticata nei tempi recenti, quasi seppellita come superata dal progressismo cattolico. Ecco, La Pira è nel solco di quella enciclica. Soprattutto quando afferma:

"Il pane, e quindi il lavoro, è sacro; la casa è sacra, non si tocca impunemente né l'uno né l'altra: questo non è marxismo, è Vangelo"

In un'epoca di ricostruzione post-bellica e di rapida industrializzazione, La Pira si distinse per una politica di "anticipo sociale". Intervenne energicamente per contrastare la disoccupazione, garantendo il diritto al lavoro attraverso la riconversione di fabbriche a rischio di chiusura (come la Pignone, salvata dalla chiusura con La Pira, sindaco democristiano, che si schiera con gli operai che occupano la fabbrica). La sua capacità di andare controcorrente ha la grande coerenza di schierarsi con i più deboli. Promosse l'edilizia popolare per dare casa ai senzatetto, spesso anche con la requisizione di edifici sfitti per destinarli ai poveri, un'azione che gli valse il soprannome di "sindaco dei poveri". La sua attenzione per i più deboli e la sua ferma convinzione che i beni materiali fossero destinati a tutti lo portarono a subire forti critiche da parte dei suoi stessi compagni di partito, accusato di minacciare il concetto stesso di proprietà privata. Ma, La Pira di fronte alla miseria era chiaro, celebre una delle sue risposte alle critiche di chi lo vedeva troppo di sinistra:

"10.000 disoccupati, oltre 200 sfratti [...], 17.000 libretti di povertà [...]. Scusi: davanti a tutti questi "feriti", buttati a terra dai "ladroni" – come dice la parabola del Samaritano (Lc 10, 30ss.) – cosa deve fare il sindaco, cioè il capo ed in certo modo il padre ed il responsabile della comune famiglia cittadina? Può lavarsi le mani dicendo a tutti: – scusate, non posso interessarmi di voi perché non sono uno statalista ma un interclassista?"

Egli fu un anticipatore dei temi oggi ancora dibattuti come il diritto all'abitare e l'economia circolare.

In un contesto odierno di crescenti disuguaglianze sociali, precarietà lavorativa e crisi abitative, il modello 'lapiriano' di una politica che mette al primo posto la dignità della persona e il bene comune, appare di stringente attualità, di difficile attuazione per i suoi attriti con le logiche delle economie di mercato. La sua insistenza sulla necessità di una "giustizia sostanziale" e sulla responsabilità della politica di intervenire attivamente per riequilibrare le sperequazioni economiche, offre spunti preziosi per un dibattito contemporaneo su welfare, inclusione e sostenibilità sociale. Un dibattito che guardi al futuro, non certo intriso della scarna ideologia che caratterizza le tifoserie dei partiti di oggi.


La Concretezza dell'Azione Politica: Un Paragrafo Critico

L'impegno di La Pira fu indubbiamente animato da una sincera volontà di giustizia e da una profonda fede. Tuttavia, la sua azione politica, seppur ammirata per il coraggio e la visione, fu talvolta oggetto di critiche riguardo la sua concreta efficacia e sostenibilità economica.

Le sue decisioni, spesso prese con un'urgenza dettata dalla povertà dilagante, come l'appoggio all'occupazione delle fabbriche o l'assegnazione di case, se da un lato rispondevano a bisogni immediati, dall'altro suscitarono perplessità riguardo la loro compatibilità con le leggi esistenti e la loro sostenibilità a lungo termine. Ebbe ragione con la Pignone, divenuta "Nuova Pignone" e in modo lungimirante legata allo sviluppo dell'Eni di Enrico Mattei. Ma, alcuni lo accusarono di un certo "paternalismo" e di un idealismo a volte disconnesso dalle "leggi" dell'economia di mercato. Le sue politiche sociali, pur lodevoli negli intenti, vennero talvolta percepite come meno efficaci nell'indurre una crescita economica robusta e duratura per la città. La sua visione, per quanto lungimirante, fu talvolta accusata di non aver sempre trovato un equilibrio pragmatico tra l'urgenza dell'intervento sociale e la necessità di una pianificazione economica più strutturata e a lungo termine.

Nel 1945, mentre si appresta ad entrare nell'Assemblea Costituente, dice: “L’urgenza è quella di creare una Costituzione che metta al centro il lavoro, non come strumento di reddito, ma come titolo di partecipazione politica”. Per La Pira il lavoro è fondamento della democrazia, titolo di cittadinanza politica, per cui egli non può concepirlo come subordinato all'impresa. Egli, profeticamente, percepisce i rischi delle disuguaglianze del consumismo, sprona gli operai alla "corresponsabilità". In La Pira anche il progresso rientra in un'ottica cristiana di giustizia sociale.

Eloquente la sua frase che lo lega ad Alcide De Gasperi per un simpatico aneddoto. La Pira scrisse: “Per gli italiani ci vuole per tutti un lavoro e per tutti una cravatta”. La dignità e il decoro in una società che non relega il lavoro a variabile e non si arrende alle disuguaglianze. A De Gasperi non sfuggì il senso della frase: simpaticamente, nel giorno di San Giorgio regalò al futuro sindaco di Firenze una scatola di cravatte. 


La Spiritualità come Motore dell'Azione

La vita di Giorgio La Pira fu intrinsecamente legata alla sua profonda spiritualità. Fu terziario domenicano, la sua azione politica è spesso associata alla testimonianza francescana, accompagnava la sua azione con lettere ai monasteri di clausura per chiedere il sostegno della preghiera. La sua fede non fu un mero aspetto privato, ma il motore inesauribile di ogni sua scelta e azione, sia nell'ambito accademico che politico. La Pira viveva una religiosità radicata nella contemplazione e nella preghiera, nutrendosi quotidianamente della Parola di Dio e dell'Eucaristia. Questa intimità con il trascendente lo portava a vedere in ogni uomo il volto di Cristo, e in ogni ingiustizia una ferita al corpo mistico.

La sua spiritualità si traduceva in una "politica della carità": per lui, l'azione politica non era solo gestione del potere o amministrazione, ma un atto d'amore verso il prossimo, specialmente i più deboli. La sua scelta di vivere in povertà (viveva in una cella del convento domenicano di San Marco), la sua disponibilità ad accogliere chiunque si rivolgesse a lui, e la sua capacità di affrontare le difficoltà con una serenità quasi sovrumana, erano tutte manifestazioni di una fede incrollabile. La sua spiritualità gli conferiva una straordinaria libertà interiore, permettendogli di agire al di fuori delle convenzioni e degli schemi ideologici, mosso unicamente dalla ricerca del bene comune e dalla costruzione del Regno di Dio sulla terra.

Ciò che può apparire un elogio eccessivo non è agiografia celebrativa, descrive in realtà ciò che La Pira materialmente faceva nel suo quotidiano, così come raccontano i testimoni. Non a caso molti critici lo consideravano utopico e inconcludente, per molti era bizzarro. Quando, nel bel mezzo di una riunione in Comune, tra accessi dialoghi e decisioni difficili, chiedeva un momento di pausa, lo si vedeva dirigersi a un inginocchiatoio sul quale si soffermava in preghiera. Era questo La Pira. Il suo impegno più "bizzarro" fu, forse, quello per la Pace.


La Pace: Un Ponte tra i Popoli

La Pira fu anche un instancabile costruttore di pace, ben oltre i confini della sua amata Firenze. La sua visione della pace non era solo assenza di guerra, ma costruzione attiva di relazioni di amicizia e cooperazione tra i popoli, fondate sulla giustizia e sulla solidarietà. Fu un pioniere del dialogo tra culture e religioni diverse, in un'epoca in cui tale concetto era ancora embrionale.

Egli concepiva la pace come un "ponte" che univa le città e le nazioni. Celebri furono i suoi "Colloqui Mediterranei" e i suoi viaggi in Unione Sovietica, Cina e Vietnam, in piena Guerra Fredda. Il suo obiettivo era quello di aprire canali di dialogo e di comprensione reciproca, convinto che la pace potesse nascere solo dalla conoscenza e dal superamento delle divisioni ideologiche. La Pira credeva fermamente nel potere della diplomazia delle città, un concetto che oggi trova riscontro nelle reti di città per la pace e la cooperazione internazionale. Immaginava un mondo in cui le città, come centri di vita e di incontro, potessero diventare attori protagonisti nella costruzione della pace, tessendo relazioni di fraternità che superassero i confini statali e le contrapposizioni geopolitiche. Per lui, la pace era un dono di Dio e un compito dell'uomo, da costruire giorno per giorno attraverso la giustizia, il dialogo e l'amore.

Antonio Rubino


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