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Lo strano caso del caso Moro - Parte 1

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 di Davide Carrozza -  carrozzad@gmail.com Domenica sera (7 gennaio 2024 ndr) è andata in onda una puntata di Report sul caso Moro: una serie di inesattezze e omissioni davvero imbarazzante per una trasmissione del servizio pubblico. Le paventate incredibili rivelazioni annunciate via social nei giorni precedenti, in realtà non sono altro che i soliti argomenti già analizzati, le solite congetture cavalcate dalla Commissione Moro 2, le quali però inevitabilmente cozzano con le ben 4 sentenze e i lavori di altre due commissioni. Sarà forse anche per questo che tale commissione non produsse mai una relazione finale non chiudendo i lavori? Di seguito solo alcune delle questioni affrontate da Report che necessitano perlomeno di chiarimenti, non escludo di ritornarci con un altro articolo di aggiornamento…troppa roba! 1) Il presunto covo di Via Massimi. In numerose sentenze, in particolare nel Moro Quinques si ricostruisce con dovizia di dettagli, (grazie soprattutto alla testimonianza de

Paralipomeni lucani sulla rappresentazione della morte* (II parte)

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  di  Antonella Pellettieri  (dirigente di ricerca del CNR) La paura e l’incapacità di comprendere scientificamente le calamità naturali, le epidemie, le pestilenze, le carestie e i dolori delle guerre portò gli artisti a rappresentare la morte con immagini macabre e a far riflettere sull’inutilità del raggiungere potere e ricchezza. Sembra che proprio nella seconda metà del XIII secolo, iniziarono alcune particolari rappresentazioni della morte: ad esempio l’incontro fra i tre scheletri e i vivi viene affrescato nella cripta di Santa Margherita a Melfi ed è datato a cavallo fra il XIII e il XIV secolo. Senza entrare nella vexata questio se sia o meno rappresentato l’imperatore Federico II e due membri della sua famiglia – la moglie Jolanda d’Inghiltera, figlia di Giovanni di Brienne re di Gerusalemme,   e il figlio Corrado -, l’affresco è fra le più antiche raffigurazioni con questo tema.   Aiutàti dal buio della cripta che non è molto illuminata, gli autori vollero realizzare una sc

La mia patria è dove l'erba trema. Omaggio al Sindaco Poeta Rocco Scotellaro a 100 anni dalla sua nascita.

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  Rocco Scotellaro, poeta della civiltà contadina   di Antonio Coppola  ( Tratto dal libro:  Semi nel vento, scritti scelti del prof. Antonio Coppola,  a cura di A. Rubino, Moliterno, Valentina Profidio Editore, 2019. ) Rocco Scotellaro nacque a Tricarico (Matera) il 19 aprile 1923 e lì trascorse la sua fanciullezza; di quel periodo scrisse: « Io nacqui ed aprii gli occhi e fissai i ricordi la prima volta che mio padre andava al negozio di cuoiami con i discepoli e i lavoranti, mio nonno mi legava le scarpe e un cane rossastro mi portava addosso, che si chiamava Garibaldi » [1] . Successivamente fu mandato a studiare in collegio a Sicignano degli Alburni (Sa) e, in questo periodo della prima giovinezza, cominciò a riflettere sul rapporto con la natura: « l’aria è bella, va’ tutto bene, solo che l’ombra torna più presto sui piedi: le ultime sere di vacanze, in ottobre, il vino, la vendemmia, l’arare; non c’è davvero altro che conti che sentirsi l’anima in corpo » [2] . Dalla tradizi

Il viaggio al contrario di Giacinto Albini verso la ‘libertà'

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L’illustre intellettuale lucano si formò a Napoli e tornò a Montemurro per contribuire all’unificazione dell’Italia Questa storia ha il suo innesco in un viaggio di ritorno. Un giovane torna nel suo paese natio: un ritorno nell’entroterra lucano per realizzare un sogno. Siamo nell’800, a Napoli. Capitale del regno, una delle capitali europee ricche di opportunità, fascino, fermenti intellettuali e politici. Strade brulicanti di vita: tra lazzari, stranieri, venditori, guappi, letterati e pittori, girano cospiratori, carbonari e giovani intellettuali che vengono dalle province del regno. Sono figli di famiglie benestanti, arrivano a Napoli per studiare, come tutti i giovani hanno dei sogni. Napoli nell’800 quei sogni li culla sul mare, li fa correre per vicoli e scontrare nei bassi, li infiamma nelle piazze e nelle taverne, li educa nelle scuole e nei salotti romantici. Li reprime i sogni, duramente, con la polizia borbonica, con il patibolo o con l’esilio. Siamo nell’800. Un piccolo