Brevi cenni sui fatti di Pontelandolfo e Casalduni: la storia oltre il mito propagandistico.
Contrariamente a una certa vulgata revisionista, gli eventi che ebbero luogo a Pontelandolfo e Casalduni, nell'agosto del 1861, non sono mai stati segreti. Già all'epoca, le vicende furono ampiamente discusse e pubblicate. Giornali di varie tendenze, memorie personali e saggi sul brigantaggio del XIX secolo, come quello di Marc Monnier, le riportarono. Anche il deputato Giuseppe Ferrari, dopo una visita personale, sollevò la questione in Parlamento già il 2 dicembre 1861.
Anzi, occorrerebbe diffidare da tutto ciò che si presenta come "verità nascosta", specie quando si tratta del Risorgimento, ancor di più se l'annuncio dello svelamento della verità viene da chi non cita fonti d'archivio ma altri autori della stessa corrente di pensiero che, a loro volta, citano altri autori di uguale militanza, creando un circolo autoreferenziale che non prende in considerazione documenti e fonti storiche. Il caso dei fatti, sanguinosi e truculenti, esecrabili e dolorosi, di Pontelandolfo e Casalduni, è emblematico.
Lo Svolgimento degli Eventi: i fatti e la storia
Il 7 agosto 1861, il capobanda Cosimo Giordano guidò un'incursione di briganti a Pontelandolfo (BN). L'arrivo fu agevolato dall'assenza della Guardia Nazionale e, secondo alcune fonti, fu incoraggiato da membri del clero locale. Una volta in paese, i briganti si diedero al saccheggio, incendiando gli archivi comunali, la biblioteca locale e devastando la collezione d'arte del giudice Giosuè De Agostini. Furono commessi anche omicidi, come sempre accadeva nelle incursioni dei briganti nei centri abitati. La popolazione si divise: alcuni collaborarono, altri fuggirono e altri ancora rimasero neutrali o furono vittime della violenza.
Le autorità militari, sottovalutando la portata del fenomeno e l'appoggio di cui godeva, inviarono una piccola pattuglia. L'11 agosto, il tenente Luigi Augusto Bracci e 44 militari (40 bersaglieri e 4 carabinieri) giunsero a Pontelandolfo. Nonostante avessero mostrato una bandiera bianca, furono attaccati e costretti a ritirarsi verso Casalduni. Durante la ritirata, furono circondati e, nonostante la resa, furono attaccati per essere massacrati. Il tenente Bracci fu torturato e ucciso a sassate, fu decapitato e la sua testa conficcata su una croce nella chiesa del paese. Gli altri militari furono trucidati a colpi di scure e mazza, o calpestati dai cavalli. Solo un sergente si salvò, avendo promesso di non combattere più contro le forze borboniche.
In risposta al brutale massacro, il tenente colonnello Pier Eleonoro Negri fu incaricato di guidare un contingente di 400 bersaglieri a Pontelandolfo il 14 agosto. I soldati, vedendo i corpi smembrati dei loro commilitoni appesi come trofei, scatenarono una rappresaglia. In entrambi i paesi alcuni edifici furono dati alle fiamme e anche alcuni civili, accusati di aver partecipato alla strage con i briganti, furono vittima di rappresaglia.
Le Dimensioni della Rappresaglia: La Storia contro il Mito
Un'accurata analisi delle fonti, in particolare dei registri parrocchiali, permette di ridimensionare le cifre esorbitanti diffuse da certa pubblicistica. Secondo studi condotti su carte d'archivio, come quelli di Ferdinando Melchiorre Pulzella e Davide Fernando Panella, le vittime civili accertate della rappresaglia furono in numero molto inferiore rispetto alle migliaia spesso citate.
Lo studio di Panella, basato sui registri dei morti delle parrocchie di Pontelandolfo e Casalduni, redatti da sacerdoti testimoni oculari, stabilisce che a Pontelandolfo ci furono tredici vittime dirette il 14 agosto 1861. Queste morti sono state documentate con nomi, età e cause specifiche. Panella ipotizza che l'aumento della mortalità nei mesi successivi possa essere stato una conseguenza indiretta degli incendi, ma anche in questo caso, pur volendo accettare l'ipotesi che non ha nessun riscontro e sostegno nei documenti, il numero totale si attesterebbe comunque ben al di sotto del centinaio.
L'analisi di Panella smentisce anche alcune delle particolari narrazioni più drammatiche. Ad esempio, il vecchio arciprete di Casalduni, Giovanni Corbo, dato per fucilato dai bersaglieri, morì in realtà pacificamente molti mesi dopo. Un'altra storia, quella di Maria Izzo, descritta come una giovane e bella donna violentata e uccisa, si rivela essere quella di una donna di 94 anni deceduta nell'incendio della sua casa. Queste discrepanze tra il racconto e le prove documentali dimostrano come la propaganda anti-risorgimentale abbia distorto i fatti, per fini diversi dalla divulgazione storica che tende alla verità. Tra i più recenti autori che hanno alimentato e ingigantito i fatti senza l'utilizzo di fonti d'archivio vi è il giornalista Pino Aprile. (Gli esiti delle ricerche di Panella sono consultabili nell'articolo di M. Vigna citato in calce.)
Fondamentale, nel 2019, lo studio della storica Silvia Sonetti che confronta tutte le fonti conosciute sui fatti di Pontelandolfo. Accerta 17 vittime civili (4 furono uccisi dai briganti) e 41 militari. Non vi furono uccisioni di bambini, non vi furono stupri ad opera dei Bersaglieri, come riportato dai testi di alcuni sedicenti storici o giornalisti. Interessante, inoltre, evidenziare che a Casalduni nei mesi successivi fu la popolazione a rivoltarsi contro i briganti e favorirne l'arresto e a festeggiare alla loro cattura. Anche in questo caso, il lavoro "investigativo" sulle fonti smentisce clamorosamente il mito antirisorgimentale che parla di migliaia di vittime civili, di saccheggi, stupri e paesi rasi al suolo. Il racconto di Pontelandolfo, riconsegnato alla storia, perde i tratti ideologici e può tornare a pacificare la memoria. Non toglie nulla al dolore e alla efferatezza di ciò che avvenne. Tuttavia, la contestualizzazione storica permette di raccontare i fatti e non leggende.
Un Conflitto Interno
Il conflitto di Pontelandolfo e Casalduni non fu una semplice aggressione di un esercito "straniero" contro una popolazione inerme. Fu, in realtà, un sanguinoso episodio di guerra civile. Le truppe italiane erano composte da soldati provenienti da diverse regioni, e la popolazione locale era divisa tra i sostenitori del nuovo Stato e i lealisti borbonici. La violenza si manifestò in tre momenti distinti: l'irruzione dei briganti con saccheggi e omicidi, il brutale massacro dei bersaglieri che si erano arresi, e la successiva rappresaglia dei soldati. Nessuno dei fatti può essere moralmente giustificato, tutti vanno contestualizzato e consegnati nelle giuste dimensioni.
I fatti di Pontelandolfo e Casalduni sono uno dei tanti episodi della Guerra per il Mezzogiorno. Il brigantaggio utilizzato dalla controrivoluzione borbonica fu una delle espressioni politiche, sociali e criminali della crisi dell’unificazione nel Mezzogiorno, condizionato da eredità e tradizioni di lungo periodo. L’unificazione nel Mezzogiorno fu parte di un contesto di larga partecipazione, anche temporanea o episodica, allo spazio pubblico, capace di sollecitare e mobilitare in maniera consapevole o indotta settori vasti e trasversali ai gruppi sociali. Le forti tensioni che si urtarono in questa guerra diedero vita a scontri violenti tra unitaristi liberali e conservatori borbonici. I fatti di Pontelandolfo e Casalduni sono la spia dell'inserimento del Mezzogiorno nella nuova compagine: se vale la pena tornare sui morti e sulle stragi della prima guerra civile italiana, è perchè essi confermano l'originaria distanza che esiste tra i comparti del paese e indicano con grande evidenza la capacità del sud di diventare precocemente il protagonista della scena, portando l'intera vicenda nazionale sul proprio terreno lacerato. (P. Macry, Unità a Mezzogiorno). Il tentativo di presentare questi fatti in chiave antiunitaria è un contraddizione enorme.
Alla ferocia dei briganti rispose la violenza dello Stato. Ma non occorre stravolgere i fatti, trovandosi difronte a uno scenario di scontri come quelli descritti.
Ogni periodo storico può affascinare, se collocato nella sua epoca e analizzato nei contesti politici e sociali del momento. Invece, utilizzare storie distanti da noi per legittimare rivendicazioni del presente è legittimo come strumento politico-culturale, ma del tutto opposto alla ricostruzione storica o storiografica, per non parlare della contestualizzazione delle vicende.
Nel bilancio complessivo delle vittime di Pontelandolfo e Casalduni, la stragrande maggioranza (circa i due terzi) è costituita dai militari trucidati dopo essersi arresi. I danni materiali non furono totali, e i due paesi rimasero abitati anche dopo la rappresaglia, un fatto che smentisce la narrazione di una completa distruzione. In sintesi, gli eventi di Pontelandolfo e Casalduni rappresentano un capitolo doloroso ma documentato della storia d'Italia, un promemoria delle complessità e delle ferite del Risorgimento.
"Il mito dell’eccidio, pur smentito da tutte le ricerche documentate e da ogni fonte archivistica, ha travalicato il limite dell’invenzione e si è trasformato in una storia vera". Compito della storia e della divulgazione è colmare "la distanza che esiste tra la ricostruzione documentata degli eventi e la loro rappresentazione emozionale" (S. Sonetti, L'Affaire Pontelandolfo).
Antonio Rubino
Per approfondire i brevi cenni:
F. Molfese, Storia del Brigantaggio dopo l'unità, Milano, Feltrinelli, 1964
M. Monnier, Notizie storiche documentate sul Brigantaggio dai tempi di Fra Diavolo, Firenze, Barbera, 1862
C. Pinto, La Guerra per il Mezzogiorno. Italiani, Borbonici e Briganti. 1860-1870, Bari, La Terza, 2019.
S. Sonetti, L'Affaire Pontelandolfo. La storia, la memoria, il mito (1861-2019), Viella, 2020.
Marco Vigna, Considerazioni sui fatti di Pontelandolfo e Casalduni, su Nuovo monitore napoletano, http://www.nuovomonitorenapoletano.it, 23 marzo 2014.
Aspettavo un articolo sulla questione del meridione post unità. Lieta di averlo letto, è molto interessante. Offre diversi spunti di riflessione. Molto gradite le fonti bibliografiche visto che ero alla ricerca di libri
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