“Pensavamo rimanere sempre sani in un mondo malato”: fonti per la storia delle epidemie ( I Parte)

 di Antonella Pellettieri (dirigente di ricerca del CNR)


Abbati et conventui S. Marie de Bantia etc. Ex parte vestra fuit nobis humiliter supplicatum, ut cum dictum monasterium habeat quoddam casale parvulum, dictum Cervaritium, sytum in quadam valle multipliciter aeris corruptione infecta, ita quod maes et femine ac specialiter pueri ibidem existere nequeant tempore modico, quia oppressi egritudinibus moriantur, mutandi casale ipsum ad iactum unius lapidis superius propter aeris puritatem, licentiam vobis concedere de benignitate regia dignaremur. Nos enim vestris supplicationibus inclinati, plenam vobis de predictis tenore presentium concedimus potestatem, dummodo sytus, ubi dictum casale mutabitur, sit de tenimento seu territorio monasterii supradicti, et nulli nostrorum fidelium exinde iniuria seu preiudicium inferatur. Datum in Castris, in obsidione Lucerie XXI augusti, XII indictionis, regni nostri anno quinto[1].

Questo documento di re Carlo I d’Angiò del 21 agosto 1269 è uno scrigno pieno di informazioni sulla storia del territorio lucano in quel periodo. Trascritto da­­ Do­menico Pannelli nel 1775, fu ripreso da Giustino Fortunato e commentato da Angelo Celli, noto medico igienista e deputato vissuto a cavallo fra il XIX e il XX secolo, “Non intende nulla della storia e del problema del Mezzogiorno chi prescinde, anche solo in parte, da quella vera maledizione, che è, per l’Italia Meridionale, la malaria: passa il terremoto, passa la peste – dice il contadino del Mezzogiorno – ma la malaria non passa. I parassiti delle febbri malariche si trovano per ­­tutta la penisola; ma la loro diversa proporzione, comparativamente a quelli della terzana lieve e la loro diversa virulenza fanno sì che si possa dire col Fortunato, che vi sono due Italie malariche, l’una al nord l’altra al sud della linea isotermica +15°, la quale va lungo il littorale toscano, scende per l’Appennino abruzzese o risale al promontorio d’Ancona, dividendo l’Italia quasi in due parti, di cui l’una ignora che cosa sia la perniciosa[2].

Di certo, dal documento del 1269 non si evince il tipo di malattia dalla quale erano oppressi gli abitanti del piccolo casale di Cervarezza. La testimonianza documentaria specifica che, qualora gli abitanti fossero rimasti in quel luogo, non sarebbero vissuti  per molto tempo a causa dell’aria infetta. A re Carlo fu chiesta l’autorizzazione a spostarsi in un luogo più in alto  con aria  pura. Questa malattia colpiva uomini e donne ma specialmente i bambini. Quando le conoscenze mediche non erano avanzate come lo sono oggi, la paura del contagio non era solo verso gli uomini o alcuni animali, tipo il topo, ma si temeva che il morbo si potesse espandere anche attraverso gli indumenti, l’aria o uno sguardo. La scelta di andare ad abitare più in alto e dove l’aria è salubre, farebbe sospettare che si potesse trattare di malaria. L’unica certezza che abbiamo è che Cervarezza scomparve dalla scena della storia e non fu  più costruita altrove o ripopolata[3]: questo è il motivo che, al contrario, fa sospettare che non si trattasse di malaria.

Non si può affrontare lo studio verso una epidemia del passato con lo sguardo di noi uomini contemporanei e con le nostre pratiche: bisogna saper comprendere i saperi di ogni particolare periodo e la diffusione della conoscenza. Il ricorrere alla scienza per attenuare le difficoltà e i disagi che provengono dalla Natura è delineato in molti autori sin dall’età classica. Ad esempio, la salubrità dell’aria di una località fa salire il prezzo di quell’appezzamento di terra, non basta che il terreno sia fertile se si devono fare i conti con la morte, “ la salubrità di un luogo che dipende dalle condizioni climatiche e da quelle del suolo, non è in nostro potere ma in quello della natura, in maniera tuttavia che molto dipende da noi il poter alleggerire con la nostra cura gli inconvenienti più gravi  … bisogna anche badare che non ci siano zone paludose … perché vi si formano dei microbi, che non si possono vedere a occhio nudo (animalia quaedam minuta, quae non possunt oculi consequi …), ma penetrano nell’organismo attraverso la bocca e il naso con la respirazione, e causano gravi malatie”[4]. Mario Terenzio Varrone nel De Re Rustica anticipava molte scoperte mediche delle età successive e cioè la presenza di microbi che diffondono virus e malattie: colorita e presente in molti autori, come Plauto e Varrone ma anche Lucrezio e Orazio, l’espressione ubi ratio cum Orco habetur, dove Orco viene definita la morte con cui bisogna fare i conti.

Bisogna precisare che, molto spesso, le fonti restituiscono notizie di epidemie legate ad avvenimenti cosmici ma anche ai terremoti. Ad esempio, e considerando solo il Meridione d’Italia,  fra il 531 e il 599 la famosa peste di Giustiniano fu accompagnata da grandi “turbazioni cosmiche e terremoti”[5]; fra il 10 e il 15 agosto del 746 ci furono “tenebre fitte” e, in quello stesso anno, la peste colpì la Sicilia e la Calabria[6], il 18 gennaio del 747 molti terribili terremoti colpirono il Medio Oriente. Nel 767, la peste vocatur inguinaria colpì le regioni meridionali portata dall’Oriente dagli eserciti di Saraceni che, in quel periodo, invadevano il Mezzogiorno italiano. Fra gli anni 866 e 867, l’imperatore Ludovico chiama in soccorso il fratello Lotario per combattere i Saraceni che occupavano il Ducato di Amalfi: Lotario portò la peste con il suo esercito ma nell’aria vi era uno strano calore che provocò dissenteria e molti morti[7]. Il 10 agosto dell’869, Lotario moriva di peste  a Piacenza[8]. Nell’873, a Benevento e Salerno, vi fu un grande flagello di cavallette e bruchi e la carestia fu presente in tutta Italia[9]. Nel mese di maggio del 949, vi fu una grande pestilenza nel Principato di Salerno e Benevento e molti luoghi furono distrutti[10], fra gli anni 1005 e 1007, ci furono 9 mesi di siccità molto grave con fiumi totalmente in secca e una pestilenza molto cruenta colpì gli eserciti dei Saraceni che combattevano fra la Calabria e la Puglia[11].

In uno studio molto recente di Ilaria La Fauci si mettono a confronto le fonti che parlano di peste e terremoti e che attribuiscono l’epidemia all’aria insalubre: “… la teoria aerista era ben conosciuta e saldamente creduta negli ambienti medievali, si insinuava in ogni circostanza che presupponesse un’analogia tra eventi che accadevano sia in natura sia nell’uomo”[12]. La studiosa si occupa, in particolare, della Peste nera della metà del XIV secolo ma come si può notare dalle fonti sopra riportate, queste teorie vi erano anche nei secoli precedenti.  Si credeva che  attraverso l’influsso degli astri, si scatenavano i terremoti che squarciavano la terra per far uscire terribili miasmi; questi vapori maleodoranti e interni della terra rendevano l’aria insalubre e provocavano la peste[13].

Nella seconda metà del XIII secolo, cominciò un gravoso spopolamento del Mezzogiorno d’Italia ma anche dell’intera Europa: una distruzione improvvisa o violenta di un centro abitato era causata, molto spesso,  da fenomeni naturali come i terremoti o le frane  o da epidemie che finivano con il fiaccare completamente centri che si trovavano già in situazioni di regresso economico e di calo demografico.

Quando una epidemia riusciva a espandersi nell’intera Europa o nel mondo allora conosciuto, diventava una pandemia che colpiva, nel giro di alcuni anni, tutti i territori europei:  magna pestilentia et ante inaudita vastavit pene universum mundum[14], questo scrive una fonte nel 1224, e ci fa intendere che una epidemia così virulenta, come non si era mai vista, colpì l’intero mondo, il mondo allora conosciuto

In quel periodo, di malattie molto virulente ve ne erano tante: nota è l’epidemia che colpì nel 1227 gli accampamenti di Federico II. Risulta molto interessante e inusuale il modo nel quale questo episodio della vita dell’imperatore svevo viene tramandato da Alfonso Corradi (1833-1892), medico e rettore dell’Università di Pavia, attraverso un uso sapiente delle fonti storiche :

In quest’anno finalmente l’imperatore Federigo II si risolve a compiere il voto, già fatto da due anni, di muoversi in soccorso di Terra santa. Da ogni parte d’Europa convennero nella Puglia nei mesi di Maggio, di Giugno, e di Luglio una moltitudine di pellegrini, per poi imbarcarsi a Brindisi ma “tacti ingenii morbo, gravissimis languoribus et infirmitatibus perpessi, innumerabilis sunt perempti et sepulti”: più di tutti poi soffersero i Tedeschi non avvezzi a cielo si caldo, ed anche perché “sentium potu frigidi simorum vinisque austeris domi usu, illic nullam similem fontanam aquam, vinosissima et calidissima vina tantum reperiebant”. Di questa sventura fu incolpato Federico: moltissimi per questo se ne tornarono indietro; imbarcatisi gli altri, e mandatili innanzi, tenne lor dietro l’8 settembre lo steso Federigo, e venne con Lodovico Langravio di Turingia; ma in Otranto questi moriva, e l’altro sorpreso da malattia non proseguì il viaggio. Parve codesta malattia, specialmente a Roma, una nuova finzione dell’astuto principe, il quale senz’altro fu dal Pontefice Gregorio IX scomunicato. Anno 1228 … Benchè colpito da anatema l’imperatore Federico salpò da Brindisi nel mese d’Agosto, con scarsa flotta, alla volta di Acri, gloriandosi di dover combattere a un tempo i fulmini di Roma e le armi saracine. Ma in questa crociata furono più spesso adoperati gli ambasciatori che i soldati; e l’accordo di pace fra il Sultano del Cairo e l’Imperatore tedesco da ambedue le parti fu considerato empio e sacrilego, perciocché mentre Gerusalemme tornava a’ Cristiani, i Mosulmani conservavano nella Città santa la Moschea d’Omar: e veramente quest’esempio di religiosa tolleranza nel secolo XIII era prematuro, né in altro modo poteva essere accolto[15].­­­­­

Dalla metà del XIV secolo e per quasi 100 anni, l’Europa dovette fare i conti con la peste definita nera. Nel 1345, una fonte ci tramanda che vi era in Sicilia magna pestis et mortalitas. Il 28 marzo di quello stesso anno,  Giovanni Vasari descriveva  una congiunzione di Saturno, di Giove e di Marte in Acquario che definiva malvagia[16] ma la descrizione di quella feroce peste che lo portò alla morte si trova nelle pagine successive “Nel detto anno MCCCXVI grande pestilenzia di fame e mortalità avvenne nelle parti di Germania, cioè nella Magna di sopra verso tramontana, e stesesi in Olanda, e in Frisia, e in Silanda, e in Brabante, e in Fiandra, e in Analdo, e infino ne la Borgogna, e in parte di Francia; e fu sì pericolosa, che più che’l terzo de la gente morirono, e da l’uno giorno a l’altro quegli che parea sano era morto. […] Allora le terre affogarono sì [per le piogge], che più anni appresso quasi non fruttarono, e corruppe l’aria. E dissono certi astrolaghi che la cometa ch’aparve dinanzi nel MCCCXIII fu segno di quella pestilenza”[17]. Da altra fonte conosciamo che nel 1312 la peste fu trasportata dagli eserciti dell’imperatore Arrigo nel Regno di Napoli e che nel 1313 tota illa aestate fuit morbus maximus per totum Italiam: a Brescia, in un mese, morirono settemila persone[18].

La peste bubbonica continuò a mietere morti in più ondate: a maggio del 1382, alla sua quarta ondata, provocò ventisettemila vittime a Napoli e l’esercito angioino fu decimato. A giugno del 1384, re Carlo si ammalò a Barletta ma di una malattia “che scorticaro come serpi”: probabilmente si trattava di scarlattina[19]. Ad Aprile del 1422, la peste ricomparve a Napoli e durò fino a Settembre: fino al 1425 fu presente in Sicilia e, nuovamente, a Napoli[20].

Una fonte del XVII secolo, descrive queste ondate di peste anche nella città di Potenza: “anno 1413 - Da principio di quest'anno, conforme racconto di straggia Universale per tutto il Regno, ma particolarmente della Città di Potenza, nella quale morirono assaissimi Cittadini, onde andò la Città quasi che desolata, con tutto ciò stimo, che questa Peste, che fu detta delle ghiandole, non fusse stata maggiore di quella, che è stata gli anni passati in Regno, ove nella sola città di Napoli, ne sono morti settecento mila, nella vicina terra d'Anzi due mila e più anime, appena ne restarono Cento. Mi persuado, che quella fusse stata meno Fiera di quest'ultima, poichè dalle molte scritture, che ho letto, vedo in què anni, si faceva dagli appestati testamento e molti contratti di compra ... con vilissimo prezzo, non mi porge meraviglia, essendo più che vero, che disprezza ogni cosa al mondo, colui, che sa dover fra poco morire, ... 1430 Andava anco serpendo in questo tempo la già detta Peste delle ghiannole…”[21].

Questa fonte risulta particolarmente interessante perché mette in evidenza, in maniera molto precisa, come una epidemia procura un grave problema sanitario ma anche sociale ed economico:  dagli atti notarili di compravendita, il cronista potentino percepisce che il costo delle case e delle terre era molto basso poiché la città era spopolata e i pochi abitanti rimasti non davano importanza ai loro beni materiali.  Gli appestati stilavano i loro testamenti  perché il morbo era irrefrenabile . La peste definita delle ghiannole era, di certo, la peste bubbonica che, dopo aver spopolato quasi del tutto la città di Potenza nel 1413 e ad aver lasciato nella vicina Anzi solo 100 abitanti – e ve ne erano 2000 -, ritornò con una nuova andata nel 1430 ma dall’espressione “andava ancora serpendo” si comprende che il morbo era meno virulento e, dunque, meno pericoloso.

Questa descrizione del cronista potentino è simile a quella di Giovanni Vasari per la prima ondata fiorentina di peste fra il 1347 e il 1350 “tutti quasi morirono, e corruppono sì l’aria dove arivavano, che chiunque si riparava co lloro poco apresso morivano. Ed era una maniera d’infermità, che non giacia l’uomo III dì, aparendo nell’anguinaria o sotto le ditella certi enfiati chiamati gavoccioli, e tali ghianducce e tali gli chiamavano bozze, e sputando sangue. E al prete che confessava lo ‘nfermo, o guardava, spesso s’apiccava la detta pistilenza per modo ch’ogni infermo era abandonato di confessione, sagramento, medicine e guardie”[22].

Ma mortale non era solo la peste!

Simile al Covid19 che ha colpito l’intero pianeta fra l’Inverno e la Primavera del 2020, pare essere una epidemia che iniziò nell’Inverno del 1504. “…ci chominciò cierte tosse, di maniera che davano la febbre, perdevasi el ghusto,e si cominciò a medicarle come altri freddi”, colpisce in queste  parole il progresso fatto dalla medicina nel XVI secolo ma anche la somiglianza con il Corona virus. Si curava con la liquirizia e la pasta fatta di farina d’orzo e di zucchero “buona a mollificar la tosse cagionata da infreddatura”. All’inizio morirono alcune persone più anziane “e non ci fu medicho la sapessi mai trovare la vera ricetta attale malattia; cheffù una influentia … che non ci fu mai Medicho le sapessi ghuarire, benché molte cose sperimentassimo e chosì fu di questa tossa. Effù questa tossa in principio a Roma, dove ne morì assai e cierchò tutta litalia, e fuora dell’Italia”[23].

La perdita del gusto, la morte degli anziani, il riconoscere il morbo come una influenza o infreddatura inizialmente, la precoce diffusione che la trasforma in pandemia, la difficoltà dei medici che si trovavano di fronte a una malattia sconosciuta, ci porta a paragonare questa epidemia di inizio XVI secolo all’attuale pandemia.

L’arrivo del Corona virus e l’epidemia di Covid -19 ci ha colti impreparati. Eravamo impreparati nelle strutture sanitarie che non erano pronte ad accogliere in cliniche e ospedali un numero così alto di malati ma eravamo impreparati anche psicologicamente. Un uomo del XXI secolo ritiene che le pandemie e/o le epidemie siano eventi calamitosi del passato e ha la convinzione che  non possano appartenere a una società con conoscenze mediche avanzate. Si aggiungano i grandi progressi tecnologici e la nascita di Internet: la comunicazione tramite i mass media e l’essere interconnessi, sempre, con la rete e i social network ci ha fatto credere che eravamo immuni da epidemie e pandemie. Si ritiene non sia un caso che  si chiami “Immuni” l’applicazione per smartphone che ci avrebbe consentto di sapere in tempo reale se siamo nelle vicinanze di un malato di Covid-19.

E colpisce una espressione usata dal pontefice Francesco in riferimento alla nostra incredulità a essere in mezzo a una pandemia nel XXI secolo : il 27 marzo 2020, in una piazza San Pietro senza fedeli e completamente vuota, veniva esposto il crocifisso ligneo di San Marcellino al Corso  del XIV secolo e che salvò Roma e i romani dalla peste del 1522. Trasmessa in diretta TV, resta indimenticabile l’immagine di papa Francesco solo in piazza San Pietro che, durante il suo discorso, esclamava “Pensavamo rimanere sempre sani in un mondo malato” con un esplicito riferimento alle colpe dell’uomo che ha inquinato il pianeta e ha reso se stesso vulnerabile[24].

Ma questa incredulità dell’essere umano di trovarsi a vivere durante un’epidemia non appartiene solo all’uomo del XXI secolo: Francesco Petrarca ci ha lasciato un testimonianza emblematica “ La peste noi conoscevamo per nome e per averne lette le descrizioni ne’ i libri. Ma una peste universale venuta per distruggere il genere umano né veduta, né letta, né udita ci venne mai: ed ecco già da venti anni noi l’abbiamo vista invadere tutti i paesi, per modo che sospesa forse e latente si rimase in qualche luogo, ma in nessuno fu estinta: e ogni giorno la vediamo tornare donde la credemmo partita, e ci assale dopo averci ingannato con breve gioia: prova, come io credo, della costante ira celeste e della ostinata perversità degli uomini; che se una volta cessassero dai loro delitti, o ne diminuissero il numero, diverrebbero forse più miti le vendette di Dio”[25].

L’incredulità si manifesta anche nella perdita della memoria di alcune pratiche religiose legate alle epidemie e si riscontra, ad esempio nella città di Potenza. Non vi è più l’usanza di portare in processione fra le strade della città la reliquia del Preziosissimo Sangue di nostro Signore Gesù Cristo. Questa reliquia proveniente dalla Terra Santa era conservata, dal 24 settembre del 1284, nella chiesa di Sant’Antonino di Saponara; nel 1647, il vescovo di Potenza Bonaventura Claverio chiese ai canonici di Saponara di poter avere una parte di quella reliquia e portarla nella città di Potenza.  Il vescovo Claverio decise di conservare la preziosa reliquia nella chiesa potentina di Santa Maria del Sepolcro proprio perché la fondazione di questa chiesa e la sua stessa titolazione erano collegati al sepolcro di Gesù Cristo in Terra Santa, luogo dal quale proveniva la reliquia. Cominciarono lavori di restauro e fu costruito un grande altare per la conservazione sicura di una tale preziosa reliquia. Il 4 giugno 1656, con una solenne processione dalla cattedrale potentina, la reliquia fu portata nel nuovo altare costruito di proposito all’interno della chiesa di Santa Maria del Sepolcro: ci vollero 9 anni di restauro per consentire il trasporto della reliquia  ma questo spostamento non avvenne casualmente. Il 1656 fu l’anno della grande peste del Regno di Napoli e un documento inequivocabile del Mastrogiurato della città di Potenza, il dottor Francesco Centomani, conferma tale ipotesi:”Io doctor Francesco Centomani Mastrogiurato della Città di Potenza, tanto in mio nome e parte di detta Città, e suo Reggimento, quanto dei miei successori  nell’officio e Reggimento predetto entrantino, fò voto e prometto ogni anno nel dì del Venerdì Santo, purchè non vi sia legittimo impedimento, tanto io quanto li miei successori di detto officio, con altri magnifici del Reggimento ed uomini di detta Città d’accompagnare, ed avremo d’accompagnare la Processione Generale da farsi dal Clero secolare e regolare a questa venerabile Cappella del SS.mo sangue di Nostro Signore Gesù Cristo edificata per detto Ill.mo e Rev.mo Mons. Fra Bonaventura Claverio, da intervenire ed intervenimmo nella processione da farsi ogn’anno al Venerdì Santo, nel modo, ut sopra, di detta reliquia … qual voto et pro missione esso Mastrogiurato, in nome di tutta la città lo fa, acciò nostro Signore Iddio per il merito del suo Preziosissimo Sangue si degni di liberare questa città e tutto il Regno dal male contagioso”[26].

Da questo momento e fino a metà del XX secolo la devozione per questa reliquia è attestata e anche la processione e la festa del Preziosissimo Sangue fu organizzata. Oltre la peste, la preziosa reliquia fu portata in processione anche in momenti di particolari difficoltà come quello dell’agosto del 1773 poiché pioveva ininterrottamente da due settimane con lampi e tuoni al punto che le coltivazioni rischiavano di andare in rovina completa. Appena iniziò la processione con il calice che conteneva la reliquia cessò “ la folgora, la pioggia, il tuono, il lampo”.

 [1] Le memorie del monastero bantino o sia della badia di Santa Maria in Banzia, ora Banzi: ubblicate d’ordine del Cardinale di Sant’Eusebio abate commendatario di essa badia da Domenico Pannelli suo segretario, a cura di Pietro De Leo,  Montescaglioso – Barile 1994, p.81.

[2] G. Fortunato, La Badia di Monticchio, Venosa 2014, pp.104-105.

[3]A. Pellettieri, Borghi nuovi e centri scomparsi, in Storia della Basilicata, a cura di C. D.Fonseca, Bari-Roma 2006, pp.132-164.

[4] A. Salvatore, Scienza e poesia in Roma. Varrone e Virgilio, Napoli 1978, pp.19-20.

[5] Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850 scritti da Alfonso Corradi: dalle prime memorie fino al 1850, Bologna 1865, Tomo primo, pp.132-133.

[6] Idem, p.73.

[7] Idem, p.81.

[8] Idem, p.82.

[9] Idem.

[10] Idem, p.87.

[11] Idem, .92.

[12] I. La Fauci, Terremoti e peste: una strana correlazione,   in “Humanities” ( Anno VIII, Numero 15, Giugno 2019), p.116. La studiosa specifica che “Questa congettura, nota con il nome di “teoria aerista”, ha creato un’abbondante letteratura cronachistica e medica che finora è stata esiguamente esaminata: è pur vero che in molti casi la correlazione emerge, attraverso la narrazione consequenziale dei due eventi, in una semplice identificazione di causa – effetto in terremoto – peste; ma nonostante ciò ci sono anche testi che discutono esplicitamente tale accostamento. I testi medici ovviamente descrivono in primo luogo il morbo pestilenziale, ma si riscontrano anche sezioni dedicate al contagio in cui affiora la derivazione dai fenomeni sismici”, p.104..

[13] K. von Megenberg, Tractatus de mortalitate in Alamannia, in Pestchriften aus den erstern 150 Jahren nach der Epidemie des «schwarzen Todes» 1348, a cura di K. Sudhoff, in “Archiv fur Geschichte der Medizin” ( n° 11, 1919 ), pp. 44-51. Si consulti anche Le calamità ambientali nel tardo Medioevo europeo: realtà, percezioni, reazioni, in Atti del XII Convegno del Centro studi sulla civiltà del tardo Medioevo  (S. Miniato 31 maggio - 2 giugno 2008) a cura di M. Matheus, G. Piccinni, G. Pinto, G. M. Varanini, Firenze  2010.

[14] Scriptorum rerum austriaca rum plurimam partem nunc primum editorum, edidit R.D.P. Hieronimus Pez, Lipsia 1730, Tomo I, p.452.

[15] Annali delle epidemie occorse in Italia cit., Tomo primo, pp.132-133.

[16] Annali delle epidemie occorse in Italia cit., Tomo primo, p.186.

[17] I. La Fauci, cit., p.105.

[18] Annali delle epidemie occorse in Italia cit., Tomo primo, pp.167-168.

[19] Idem, p.235.

[20] Idem, pp.264-270.

[21] R. M. Abbondanza Blasi, Storia di una città. Da un manoscritto dlla seconda metà del sec.XVII, Slerno 2000, p.273.

[22] Giovanni Villani, Nuova Cronica, tomo III  libro XIII cap. LXXXIV, pp. 1577-1579.

[23] Annali delle epidemie occorse in Italia cit., Tomo secondo, pp. 6-7.

[25] Seniles, X,2, Petrarca, in Letteratura Italiana della Nuova Accademia, a cura di Ugo Dotti, Milano 1964, pp.88-94.

[26] Per una trattazione completa su questa reliquia mi permetto di segnalare A. Pellettieri – A. Rubino, Tra il Casale e la Città. Santa Maria del Sepolcro di Potenza e la vicenda di Frati Minori in Basilicata, Foggia 2016, pp.85-99.


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