Srebrenica 1995: l'eco di un massacro che richiama l'Europa, il monito di un orrore che interroga le definizioni di genocidio

Srebrenica: la pulizia etnica e le sue radici nella disintegrazione della Jugoslavia

L'orrore ha un nome e un numero. A Srebrenica, tra l'11 e il 22 luglio 1995, furono sistematicamente massacrati oltre 8.372 uomini, musulmani bosniaci. Di queste vittime, oltre 7.000 sono state identificate e riposano nel Centro Memoriale di Potočari, ma centinaia di resti sono ancora in attesa di essere trovati e riconosciuti, sparsi in fosse comuni secondarie, a testimonianza di una barbarie indicibile. Il "grande massacro" di Srebrenica è stato riconosciuto dalla giustizia internazionale come un genocidio, pianificato ed eseguito dalle forze serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladić e dalla leadership politica di Radovan Karadžić. 


Per comprendere come sia stato possibile un tale orrore, è fondamentale riavvolgere il nastro e analizzare il contesto di una nazione che non esiste più: la Jugoslavia.

La Jugoslavia di Tito: Un Mosaico di Popoli Sotto un'unica bandiera

Prima dello scoppio delle guerre degli anni '90, la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia era un esperimento unico nel panorama geopolitico del XX secolo. Creata dopo la Seconda Guerra Mondiale sotto la guida carismatica di Josip Broz "Tito", era un'entità federale composta da sei repubbliche (Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Serbia, Montenegro, Macedonia) e due province autonome (Voivodina e Kosovo, all'interno della Serbia).

Tito, leader comunista (fondatore del Movimento dei Non Allineati), riuscì per decenni a tenere insieme un mosaico di popoli con diverse lingue, religioni (ortodossi, cattolici, musulmani) e tradizioni, grazie a un forte culto della personalità, una politica di "Fratellanza e Unità" e un sistema autoritario ma che garantiva una sorta di benessere economico e una pacifica convivenza inter-etnica. Le tensioni nazionalistiche erano represse, l'identità jugoslava era promossa come superamento delle identità etniche.

Le Ragioni della Guerra: Nazionalismi, Crisi Economica e Vuoto di Potere

La morte di Tito nel 1980 segnò l'inizio della fine. Senza la sua figura unificante, le crepe all'interno della federazione iniziarono ad allargarsi.

Gli anni '80 furono caratterizzati da una grave crisi economica, un'alta inflazione e un crescente debito estero. Questo alimentò il malcontento e le tensioni tra le repubbliche più ricche (Slovenia, Croazia) che sentivano di "sostenere" quelle più povere.

Con l'indebolimento del potere centrale e la caduta del Muro di Berlino, i nazionalismi, a lungo sopiti, riemersero con forza. Leader populisti come Slobodan Milošević in Serbia e Franjo Tuđman in Croazia strumentalizzarono le paure e i risentimenti etnici, promuovendo visioni esclusiviste e aggressive delle proprie nazioni. La fine della guerra fredda segna la "perdita strategica" del "nemico ideologico e geopolitico", il nuovo nemico è un "nemico nascosto", dunque non si ha un semplice "ripiegamento etnico" con un ritorno al nazionalismo, ma una volontà di cercare un nemico "nell'altro da se" da rintracciare tra le fila "dell'uguale a se": il nemico, l'alterità sono passati dall'esterno all'interno della società in cui si vive. In questo contesto di nuove rivalse, la Serbia esaspera l'etnismo ricercando un casus belli nel vedere nello Stato plurinazionale un attacco alla sicurezza dei Serbi; nell'esacerbare gli scontri a vantaggio di un mito della "Grande Serbia". Il sistema di leadership collettiva post-Tito si rivelò inefficace. Non c'era un'autorità centrale forte in grado di gestire le crescenti spinte centrifughe. 

La dichiarazione di indipendenza di Slovenia e Croazia nel 1991 portò ai primi conflitti. La guerra in Croazia fu particolarmente sanguinosa, con la minoranza serba in Croazia che si oppose all'indipendenza, sostenuta da Belgrado, dando vita alla "Repubblica Serba di Krajina".

La situazione in Bosnia ed Erzegovina era la più complessa. Con una popolazione etnicamente mista (bosniaci musulmani, serbi ortodossi, croati cattolici), la sua indipendenza nel 1992 fu il preludio a una guerra brutale. I serbo-bosniaci, con il supporto di Belgrado, si opposero strenuamente all'indipendenza e iniziarono un'operazione di "pulizia etnica" volta a creare territori omogenei e collegati con la Serbia. Assediarono Sarajevo, bombardarono città e villaggi, e istituirono campi di concentramento. In questo contesto di violenza diffusa si inserì il dramma di Srebrenica.

Cosa Accadde a Srebrenica: Una "Zona Sicura" Trasformata in Mattatoio

Srebrenica, una cittadina a maggioranza musulmana nella Bosnia orientale, era stata dichiarata "zona sicura" dalle Nazioni Unite nel 1993, protetta da un piccolo contingente di caschi blu olandesi (DutchBat). Migliaia di rifugiati musulmani vi si erano riversati, cercando scampo dagli eccidi nei villaggi circostanti. Credevano di essere al sicuro sotto la protezione dell'ONU.

L'11 luglio 1995, le forze serbo-bosniache del generale Ratko Mladić entrarono a Srebrenica senza incontrare una resistenza significativa da parte dei caschi blu, che erano in netta inferiorità numerica e con regole d'ingaggio restrittive. Ciò che seguì fu un'operazione metodica e brutale.

Gli uomini e i ragazzi furono separati da donne, bambini e anziani. Le donne e i bambini furono caricati su autobus e deportati verso territori controllati dai bosniaci. Gli uomini, dai 12 agli 80 anni, furono detenuti.

Nei giorni successivi, migliaia di questi uomini furono sistematicamente portati in luoghi isolati – campi, scuole, magazzini – e massacrati a colpi di arma da fuoco. I loro corpi furono poi gettati in fosse comuni scavate in fretta. Le testimonianze dei pochi sopravvissuti, nascosti sotto i corpi dei loro cari, raccontano di un orrore indicibile per queste esecuzioni di massa.

Le Conseguenze e la Memoria

Il massacro di Srebrenica fu uno spartiacque. Scosse le coscienze internazionali e portò a un intervento NATO più deciso che contribuì a porre fine alla guerra in Bosnia. Oggi, il Centro Memoriale di Potočari è un luogo di silenzio e riflessione, dove migliaia di lapidi bianche testimoniano il costo umano del nazionalismo e dell'odio. La ricerca dei dispersi e l'identificazione delle vittime continuano, così come il difficile percorso della giustizia, con i processi a carico dei responsabili.

Srebrenica resta un monito. Un promemoria brutale di come l'indifferenza, la strumentalizzazione etnica e la mancanza di una risposta internazionale tempestiva possano portare all'annientamento di esseri umani. Comprendere la storia della Jugoslavia, le sue fragilità e le spinte che la condussero alla disintegrazione, è essenziale per non dimenticare e per imparare le lezioni di un passato che ancora oggi ci interroga.

Postilla
"Pulizia etnica" o "Genocidio": l'etnismo del dopo guerra fredda che spezza le comunità

La guerra in Jugoslavia (1991-1995) ha provocato 250.000 vittime e 2,8 milioni di rifugiati e profughi. Due terzi dei morti sono civili. Gli elementi della violenza di questa guerra hanno un aspetto centrale, fondamentale e innegabile, che non cancella le atrocità compiute da tutte le parti in causa, nella politica nazionalista della Serbia. I nazionalisti serbi avevano un programma politico volto a riunire la "Grande Serbia" (un mito costruito sulla base di uso strumentale della storia) a scapito delle altre repubbliche dove vivano Serbi. Il piano serbo era quello di incorporare le regioni in cui vivano dei serbi, conducendo una vera guerra di conquista in Croazia e Bosnia, attuando una politica di "pulizia etnica" su vasta scala.

Tra gli obiettivi di questa "politica" vi è l'eliminazione del gruppo "musulamano" dai territori da occupare. Le prime azioni sono di esclusione sociale (la popolazione musulmana minoritaria e stigmatizzata - processo di creazione di una immagine inferiorizzante - viene esclusa dai servizi, dalle professioni, e vengono ridotti i suoi diritti di associazione, riunione, proprietà. Tanto che gli appartenenti a questo gruppo se lasciano il territorio devono firmare una dichiarazione di rinuncia al diritto di proprietà.) 

Le offensive militari serbe producono sempre di più un allontanamento dei bosniaci musulmani dai territori contesi e in cui vivono. Durante gli assedi alle città bosniache (1992-1995) le truppe agli ordini di Ratko Mladic disumanizzano i musulmani (definiti "cani" o "pacchi"). Vengono compiuti stupri sistematici (circa 12.000 casi accertati durante la guerra), le famiglie vengono divise e gli uomini sono deportati in campi di concentramento. Donne, anziani e bambine sono caricati su dei pullman ed espulsi. 

Ma esistono differenze tra la "pulizia etnica" e il "genocidio"? 

Il Tribunale Internazionale dell'Aia, nel luglio 1996 ha accusato Radovan Karadzic (presidente della Repubblica Serba di Bosnia) di "genocidio". Una sentenza giunta anche per Radislav Krstic per il massacro di Srebrenica.

Nella Risoluzione del 18 dicembre 1992 sulla situazione in Bosnia, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha parlato del "perseguimento di una politica esecrabile di pulizia etnica che è una forma di genocidio".

Elementi per la riflessione:

Per genocidio si intende l'omicidio intenzionale di un gruppo, in tutto o in parte, la pulizia etnica indica "soltanto" l'espulsione di un gruppo dal proprio territorio e la distruzione del suo modo di vivere tradizionale. L'intenzione della pulizia etnica è caratterizzata dalla sua localizzazione territoriale (B. Brunetau, Il Secolo dei Genocidi, Il Mulino, 2008 pag. 218). 

La linea di distinzione tra genocidio e pulizia etnica è spesso un confine labile e non visibile distintamente.

Tuttavia, ci sono alcune considerazioni che diversi studiosi hanno avanzato, nell'ambito del processo di nascita di una giurisdizione internazionale permanente e nel tentativo di istituzionalizzare concetti che si riferiscono a realtà diverse dal genocidio.

Un genocidio può cominciare con una prima fase di pulizia etnica, così come la pulizia etnica può divenire su larga scala uno degli strumenti di uno sterminio genocidario. Il massacro di Srebrenica viene definito "genocidio" nonostante il carattere dell'eliminazione dei musulmani sia stato selettivo (solo gli uomini): i giudici internazionali hanno infatti sottolineato, a ragione, che la sopravvivenza di donne e bambini, privi di protezione e mezzi era messa volutamente in gravissimo pericolo.  

Alla sottile linea che divide terminologicamente i drammatici fatti di molti conflitti europei del secondo dopoguerra, si contrappone un comune tragico senso di repulsione per l'orrore che l'etnismo genocidario, il cieco nazionalismo, hanno prodotto a Srebrenica come in altri posti del mondo. Esiste un problema di definizione di genocidio, qui solo momentaneamente tratteggiato prendendo in esame fatti chiari nella loro atroce gravità.

Dal 1989, anno della caduta del muro di Berlino, ad oggi, i conflitti su base etnica si sono moltiplicati conoscendo casi di politiche genocidarie ben precise e ancora da studiare e far conoscere come il caso della pulizia etnica serba in Bosnia e il genocidio del Rwanda.

Antonio Rubino 


 

Commenti

Post popolari in questo blog

Un'odissea da raccontare ancora: gli IMI, Internati Militari Italiani. Alcune storie di soldati di Moliterno (Pz).

Alcune storie di caduti della Seconda Guerra Mondiale: dagli internati in Germania, all’Africa settentrionale, ai naufragi nell’Egeo

L'Ordinamento degli Archivi secondo il principio di provenienza liberamente applicato