4 novembre: la memoria non è esercizio del passato ma responsabilità del presente

Oggi, come ogni anno, la nostra comunità si ritrova unita per celebrare una delle date più significative della storia italiana: il 4 novembre, Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate.

Ai saluti alle autorità civili, militari e religiose presenti, non posso aggiungere quelli diretti ai combattenti e reduci: nella nostra comunità non ci sono più le voci di chi può raccontare la guerra da testimone. Ma le loro voci vivono con noi, vive il loro ricordo. La loro memoria è preziosa per noi. Con noi c'è la loro gloriosa bandiera, che l'ultimo dei reduci, il cav. Scannone, ha lasciato al nostro Comune e oggi, come avverrà spero negli anni a venire, portano in questa manifestazione gli alunni delle nostre scuole. 

Il 4 novembre è una data che porta con sé la solennità del ricordo e il dovere della riflessione.
Ricordiamo la conclusione della Prima Guerra Mondiale, l’armistizio che segnò la fine di un conflitto che aveva devastato l’Europa e segnato per sempre la nostra coscienza collettiva.
E rendiamo omaggio ai caduti di tutte le guerre, ai militari e ai civili, a coloro che sacrificarono la loro vita perché noi potessimo ereditare un Paese libero, unito, democratico.

23 ottobre 1917 – Linea del Natisone
Piove da tre giorni. La trincea è una fossa di fango e paura.
I piedi affondano nell’acqua gelida e le coperte sono ormai croste di terra.
Si parla di un attacco imminente, ma qui, tra il Natisone e l’Isonzo, gli attacchi sono sempre imminenti e mai prevedibili.
Il tenente ci dice di resistere, che l’Italia non arretrerà.
Io non so se lo dice per fede o per dovere, ma lo guardo negli occhi e vedo la stessa stanchezza che sento io.

Stanotte ho pensato a casa. A mia madre che accende la stufa, a mia sorella che fa il pane.
A volte mi chiedo se ci sarà ancora un’Italia dopo questa guerra, o se tutto finirà nel fango che ci circonda.

(Diario di un soldato di Caporetto)



1. La conoscenza della storia come fondamento della cittadinanza

In un tempo come il nostro, in cui l’informazione corre veloce e spesso si disperde nella superficialità dei social e nella disattenzione collettiva, trasversale e cronica, il ricordo storico diventa un atto di resistenza culturale.
Perché la memoria non è un esercizio del passato: è una responsabilità del presente.

Conoscere la storia è un dovere civico.
Non per trasformarla in un elenco di date, ma per comprenderne le radici, le cause, gli errori e le conquiste.
Senza la conoscenza della storia, infatti, ogni manifestazione rischia di ridursi a rito, ogni bandiera perde significato, ogni parola solenne diventa fragile. Assistiamo così al vaniloquio, tipico del populismo e dei regimi, tipico dei tempi di guerra.

La storia non è una maestra che ci dice cosa dobbiamo pensare;
è piuttosto una palestra della mente, che ci insegna a pensare da soli, con libertà e con spirito critico.
È la storia che ci permette di non essere trascinati dalle paure del presente, di non cedere ai populismi, alle semplificazioni, alle nuove forme di fanatismo che si affacciano con abiti sempre diversi.
Oggi la paura per la guerra non è più qualcosa di lontano, i nostri giovani vivono l'ansia e l'angoscia per i conflitti in medioriente, in Europa, in Sudan... la conoscenza della storia è la capacità di interagire con questa paura e questa ansia, per interpretare il presente.

2. Le piazze, la partecipazione e il rischio della superficialità

Le piazze piene, i cortei, i momenti di unità popolare sono la linfa della democrazia.
Eppure, senza la conoscenza della storia, anche la più sincera partecipazione può diventare strumento di chi manipola le emozioni, di chi semina divisione e non costruisce futuro.

Attenzione alla propaganda che demolisce l'Europa, la nostra Patria comune.

Ricordare, studiare, comprendere: solo così la memoria diventa consapevolezza, e la consapevolezza diventa libertà.
Celebrare il 4 novembre significa dunque non lasciare che la storia venga piegata alle convenienze del momento, ma mantenerla viva nella verità dei fatti, nelle contraddizioni che ci appartengono, nelle ferite che ci hanno reso più maturi.

24 ottobre 1917 – Caporetto
All’alba, un rombo lontano. Poi, d’improvviso, il cielo si apre in mille lampi.
I colpi dell’artiglieria tedesca ci investono come un temporale di ferro.
Le linee di comunicazione saltano, le trincee si svuotano.
Qualcuno urla che ci stanno aggirando, altri corrono senza sapere dove.
Io cerco il sergente, ma non lo trovo più.
La collina fuma, la terra trema.
Mai avevo sentito un rumore così profondo, come se la montagna gemesse.

Il fiume è alle nostre spalle. Non abbiamo ordini.
Un gruppo tenta di resistere, ma i gas ci costringono a lasciare la postazione.
La nebbia è densa e il panico più denso ancora.
Non so se sto combattendo o solo cercando di restare vivo.

3. La pace come dialogo: la conoscenza dell’altro

La pace non è semplicemente assenza di guerra.
La pace è presenza di giustizia, è costruzione quotidiana, è capacità di dialogo.
E il dialogo nasce solo se si ha il coraggio di conoscere la storia dell’altro, di comprenderne le ragioni, di ascoltare le sue paure e i suoi sogni.

La pace si costruisce partendo dalle nostre comunità, dai luoghi in cui viviamo e lavoriamo.
Dalla scuola, dalla famiglia, dal municipio, dalle relazioni tra persone che la pensano in modo diverso ma si riconoscono nello stesso orizzonte di umanità.

Solo chi sa dialogare, solo chi è disposto a conoscere davvero l’altro, può essere costruttore di pace.
È questo il primo dovere che abbiamo come cittadini, prima ancora che come Nazione: imparare ad essere artigiani di pace nel quotidiano, nella convivenza civile, nella solidarietà.

25 ottobre 1917 – In ritirata
Siamo in cammino da ore, forse giorni.
Le strade sono piene di soldati, muli, contadini in fuga.
Nessuno comanda più.
Le armi si portano per abitudine, non per fede.
Ho visto ufficiali senza cappotto e ragazzi di vent’anni piangere come bambini.
Non di paura: di vergogna.

Passiamo villaggi abbandonati. Le donne ci guardano senza dire nulla, come se fossimo fantasmi.
Qualcuno lascia cadere il fucile, altri lo buttano nei fossi.
Io lo tengo stretto, non per combattere, ma per non sentirmi nudo.

26 ottobre 1917 – Verso Udine
Piove ancora.
Camminiamo nell’acqua, e l’acqua sembra volerci cancellare.
La fame è tanta, ma la vergogna di più.
Un capitano ha provato a radunarci: ha detto che la Patria non finisce in una sconfitta.
Parlava con la voce rotta, eppure in quel momento ho creduto che dicesse la verità.

Forse la Patria non è nelle mappe, ma in quello che ognuno porta dentro.
Nell’aiutare un compagno a rialzarsi, nel dividere l’ultimo pezzo di pane.
Forse la Patria è solo questo: resistere, nonostante tutto.

4. Caporetto: la sconfitta che cambiò la coscienza nazionale

Nel ricordare la fine della Grande Guerra, non possiamo non evocare Caporetto, la grande disfatta del 1917.
Fu un momento tragico, una frattura profonda nella storia italiana.
Crollarono le linee, si disgregò l’esercito, il Paese visse giorni di paura e di disillusione.
12.000 morti, 30.000 feriti, 300.000 prigionieri e quasi 400.000 sbandati in un Paese di 30 milioni di persone. Le forze nemiche penetrate per 150 km in territorio italiano.
Eppure, come accade spesso nella storia, le sconfitte raccontano più delle vittorie.

Caporetto mostrò le fragilità di una Nazione ancora giovane, divisa, povera, incapace di riconoscere la sofferenza del proprio popolo.
Ma mostrò anche il coraggio e la dignità di tanti soldati e di tante famiglie che, nonostante tutto, seppero rialzarsi.

Da quella sconfitta nacquero due strade:
una di rinascita morale e civile, e una, purtroppo, di rancore e nazionalismo. Un ufficiale italiano in servizio a Caporetto, scriverà che per tenere i soldati occorrono "il bastone e l'olio di ricino". Tragicamente profetica la sua invocazione, segno di una retorica che già serpeggiava in Italia e soprattutto nel clima della guerra.
Fu proprio nel terreno della rabbia postbellica che attecchirono i semi del fascismo, il bisogno di un capo forte, di un mito, di un’illusione di ordine.
E da lì scaturirono nuove tragedie, nuove guerre, nuove divisioni.

La storia di Caporetto ci insegna che la guerra, quando non è compresa, non finisce davvero: continua a vivere nelle paure, nei rancori, nei muri che gli uomini costruiscono. Ancora una volta emerge l'importanza di conoscere la storia.

29 ottobre 1917 – Oltre il Tagliamento
Abbiamo attraversato il fiume di notte.
L’acqua ci arrivava al petto e gelava le ossa.
Dietro di noi, le fiamme dei paesi.
Davanti, il silenzio e la paura di non sapere dove andare.

Ho visto un prete che benediceva i soldati come in un funerale.
E forse, in un certo modo, lo era: il funerale di un esercito, di un’illusione.
Ma non di un popolo.
Perché anche nella disfatta ho visto uomini che non hanno abbandonato i feriti, che hanno diviso il mantello, che hanno camminato senza più forze pur di non lasciare indietro nessuno.

5. Il sacrificio e la difesa di un ideale

Eppure, il sacrificio di coloro che combatterono non fu vano.
E' dopo Caporetto soprattutto che essi non combatterono per un potere o per un uomo, ma per un’idea di Patria.
Una Patria che è comunità, che è libertà, che è dignità del lavoro e rispetto della persona.

Combattere per la Patria non significa odiare un nemico, ma difendere ciò che unisce un popolo: la lingua, la cultura, la solidarietà, la giustizia.

Ed è per questo che oggi, guardando al popolo ucraino, che resiste con coraggio a un’aggressione ingiusta e violenta, possiamo comprendere meglio il senso di quel sacrificio.
Quando un popolo difende la propria libertà, non difende solo un confine, ma difende la propria anima.
E quel sacrificio, allora come oggi, ci interpella:
ci chiede se anche noi, nella nostra quotidianità, siamo disposti a difendere i valori di democrazia e di pace su cui si fonda la nostra Repubblica.

6. I caduti e la continuità della memoria

Commemorare i caduti significa dare continuità alla memoria.
Ogni nome inciso su una lapide è una vita spezzata, ma anche un seme di speranza.
Dietro quei nomi ci sono giovani che lasciarono le loro case, le famiglie, i sogni.
Ci sono padri e figli, contadini e maestri, studenti e artigiani, un intero popolo.

Il nostro compito, oggi, è non disperdere quella eredità.
Dobbiamo trasmetterla ai giovani non come retorica, ma come impegno:
l’impegno a costruire una società giusta, rispettosa delle istituzioni, attenta ai più deboli, capace di custodire la pace con le opere, non solo con le parole.

2 novembre 1917 – Vicino a Treviso
Finalmente ci fermiamo.
Ci dicono che la linea del Piave terrà.
Nessuno parla di vittoria. Ora si parla solo di “resistere”.

Scrivo queste righe per ricordare, se un giorno tornerò a casa, che la guerra non è gloria.
È paura, freddo, fame, silenzio.
Ma anche fratellanza, quella che nasce tra uomini che non si conoscevano e che ora sanno di essere la stessa cosa: carne, speranza, sopravvivenza.

Forse un giorno Caporetto verrà ricordata come una sconfitta.
Per me, resterà la prova che l’uomo, anche nel fango più nero, può ancora guardare il cielo e cercare la luce.

10 novembre 1917 – Ultima pagina
Oggi ci hanno detto che il Re e il Governo sono ancora con noi.
Io non so se ci credo.
Ma guardo i miei compagni, le facce scavate, gli occhi stanchi, e penso che l’Italia è qui, in questi uomini che non hanno smesso di camminare.

La guerra ci ha tolto tutto, ma non la dignità.
E da questa sconfitta, forse, potrà nascere un’Italia più consapevole, più giusta, più vera.
Se sopravviveremo, dovremo ricordarlo.
Perché la pace si costruisce solo quando si conosce fino in fondo l’orrore della guerra.

7. Le Forze Armate come forza di pace e di umanità

Le Forze Armate italiane rappresentano oggi una delle più alte espressioni dello Stato.
Non sono più strumenti di guerra, ma presidi di pace e di convivenza civile.

Le vediamo impegnate nelle missioni internazionali, dove portano aiuto e protezione, spesso in contesti difficili e pericolosi.
Le vediamo intervenire nelle calamità naturali, accanto ai cittadini colpiti.
Le vediamo ogni giorno lavorare con le Forze di Polizia per garantire sicurezza, legalità, ordine democratico.

Dietro ogni divisa ci sono donne e uomini che, in silenzio, servono la Repubblica con coraggio, con disciplina e con onore.
Essi testimoniano che la forza, quando è giusta, non distrugge ma protegge, non divide ma custodisce la convivenza.

8. Dal giuramento al regime al giuramento alla Costituzione

Un tempo, i militari giuravano fedeltà a un uomo, a un regime, a un potere personale.
Oggi, come i Sindaci, come ogni servitore dello Stato, giurano fedeltà alla Costituzione.
È un cambiamento epocale, che segna la maturità democratica del nostro Paese.

Quel giuramento, che lega anche me come Sindaco, non è a una persona, ma a un principio:
quello della libertà, della democrazia, della giustizia.
È un giuramento che ci unisce, che ci fa sentire parte della stessa comunità nazionale, in cui ogni ruolo, dal più alto al più semplice, contribuisce al bene comune.

Conoscere la storia della Grande Guerra è fondamentale, la conoscenza è un supporto forte per affrontare la complessità del presente e contribuire a quel bene comune.

Le pagine di diario che abbiamo letto sono vivide testimonianze di quei tragici giorni. In realtà esse non sono autentiche: nessun soldato ha mai scritto quelle pagine, sono testimonianze realistiche ma non reali, verosimili ma non vere. Le pagine di diario che avete ascoltato (letto) sono state create dall'intelligenza artificiale. Ma non partendo dal caso, bensì fornendo all'IA un elenco di testi (che trovi in calce all'articolo e che ti invito a leggere) dai quali attingere per creare questo diario. 

Una provocazione, per mettere ancora in guardia dinanzi alle enormi sfide che abbiamo davanti, la minaccia della nostra sicurezza non è solo un carro armato al confine, i fucili o i droni. Ma anche gli algoritmi in un mondo senza confini. Solo la conoscenza, la cultura e la coscienza possono essere il nostro supporto. Dinanzi a queste sfide lo studio e il recupero di un nuovo umanesimo sono la strada che può darci forza.

9. Conclusione: la lezione di Prezzolini

Vorrei concludere con le parole di Giuseppe Prezzolini, scritte all’indomani della Grande Guerra:

“Se volessi esprimermi paradossalmente, direi che Caporetto è stata una vittoria, e Vittorio Veneto una sconfitta per l’Italia.
Senza paradossi si può dire che Caporetto ci ha fatto bene e Vittorio Veneto del male;
che Caporetto ci ha innalzati e Vittorio Veneto ci ha abbassati,
perché ci si fa grandi resistendo ad una sventura ed espiando le proprie colpe,
e si diventa invece piccoli gonfiandosi con le menzogne e facendo risorgere i cattivi istinti per il fatto di vincere.”

Vittorio Veneto è in realtà la storia di una Italia giovane che si unisce e vince con dignità, ma Prezzolini ci invita a guardare oltre la retorica delle vittorie, e a capire che la vera grandezza di un popolo non sta nella forza delle armi, ma nella forza della coscienza.

Caporetto fu dolore, ma anche riscatto morale.
Fu la prova che un popolo può rialzarsi solo quando riconosce i propri errori, quando trasforma la sconfitta in riflessione, la memoria in progetto, il dolore in civiltà.

Ecco perché oggi, nel ricordare i caduti e nel rendere omaggio alle nostre Forze Armate, dobbiamo rinnovare un impegno:
quello di custodire la pace come bene supremo,
di difendere la Costituzione,
di educare le nuove generazioni alla libertà e alla responsabilità. Doveri e Diritti.

Solo così il sacrificio di chi ci ha preceduto continuerà a vivere,
solo così l’Italia sarà davvero unita, libera e in pace.

Viva l'Italia, Viva la Repubblica !

Grazie.                                                                                                                             Antonio Rubino


Discorso del Sindaco di Moliterno Antonio Rubino per il 4 novembre 2025 – Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate

Letture consigliate e testi di ispirazione per la creazione del diario del soldato:

Carlo Salsa, Trincee. Confidenze di un fante, Mursia 2009. (1919) 

Fritz Weber, Dal Monte Nero a Caporetto: le dodici battaglie dell'Isonzo (1915-1917), Mursia, 1967.

Curzio Malaparte, Viva Caporetto!, Mondadori 1981. (1921) 

Emilio Lussu, Un anno sull’altipiano, Einaudi 1980. (1938) 

 Nicola La Banca (a cura di), Dizionario storico della Prima Guerra Mondiale, La Terza 2014.

A. Barbero, Caporetto, La Terza 2017.

G. Prezzolini, Dopo Caporetto, Roma 1919

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