Storia dell'Arma dei Carabinieri - Terza Puntata: da Pastrengo alla Crimea, i Carabinieri in guerra.
Dopo i fallimenti delle insurrezioni mazziniane degli anni '40 dell'Ottocento, l'idea di un'Italia unita sotto la guida dei monarchi esistenti guadagnò terreno.
I Carabinieri Reali e l'Alba dell'Italia Unita: Una Storia di Lealtà e Coraggio
Il sogno di un'Italia finalmente unita, dopo decenni di frammentazione e moti insurrezionali, iniziò a prendere forma a metà dell'Ottocento. Le fallimentari ribellioni ispirate da Mazzini avevano lasciato il campo a una nuova visione: l'unificazione sotto il Regno di Sardegna. Fu il 1848, l'anno delle rivoluzioni in tutta Europa, a dare la spinta decisiva. Il 23 marzo di quell'anno, Carlo Alberto, Re di Sardegna, dichiarò guerra all'Impero Austriaco, accendendo la miccia di quella che sarebbe passata alla storia come la Prima Guerra d'Indipendenza Italiana. Era l'inizio di una "guerra federativa", un'alleanza di stati italiani decisi a scacciare lo straniero.
In questo scenario di fermento, l'Arma dei Carabinieri Reali si ritrovò al centro degli eventi. Con la promulgazione dello Statuto Albertino, la nuova costituzione del Regno, i Carabinieri giurarono solennemente fedeltà, simboleggiando il loro impegno verso lo Stato e la legge: in ogni piccolo paese in cui erano presenti i Carabinieri prestavano giuramento dinanzi al Sindaco, rappresentante del potere civile, dando prova di lealtà assoluta. Il Ministro della Guerra non mancò di sottolineare il loro ruolo cruciale: garanti dell'ordine pubblico, della sicurezza e del rispetto delle norme, veri e propri "cittadini al servizio dello stato". Con la dichiarazione di guerra all'Austria, l'Arma si mobilitò: tre squadroni a cavallo per la scorta del Re e del suo quartier generale, e altri tre per la polizia militare presso le grandi unità dell'esercito. Non era una novità per loro: fin dal 1822, i Carabinieri avevano l'incarico di svolgere funzioni di polizia militare, sia in tempo di pace che in guerra, e un regolamento del 1833 aveva già definito con precisione i loro compiti. Furono aperte nuove stazioni, a cavallo e a piedi, in punti strategici, con il compito primario di mantenere la disciplina tra i soldati e prevenire disordini, un lavoro discreto ma essenziale per la coesione dell'esercito.
Pastrengo: Il Battesimo del Fuoco e l'Eroismo in Uniforme
L'avanzata delle truppe sabaude lungo il fiume Mincio fu inizialmente cauta. Ma alla fine di aprile, l'esercito attraversò il fiume, posizionandosi in aree chiave. Fu il 27 aprile che si scrisse una pagina memorabile per l'Arma. Re Carlo Alberto, in un'audace ricognizione verso Roverbella, si ritrovò in una zona esposta al fuoco nemico, scortato solo da uno squadrone di Carabinieri. Di fronte al pericolo, il sovrano espresse piena fiducia nella sua scorta. La decisione fu presa: conquistare le posizioni di Pastrengo, cruciali per proteggere il fianco sinistro e tagliare le vie di comunicazione austriache con il Tirolo.
L'alba del 30 aprile vide l'inizio dell'azione. Carlo Alberto, mentre ispezionava il fronte, fu inaspettatamente bersaglio del fuoco nemico. La reazione fu immediata e coraggiosa. Il Maggiore Alessandro Negri di Sanfront, al comando degli squadroni di Carabinieri, diede il via a una carica impetuosa. Quasi trecento cavalieri, con le loro uniformi scintillanti e le sciabole sguainate, si gettarono sulle linee austriache, seminando scompiglio. L'ardore di quell'azione, la risoluta determinazione e la stessa presenza del Re sul campo galvanizzarono le truppe, spingendole a una vittoria che portò alla conquista di Pastrengo. Il giorno seguente, i Carabinieri, insieme ad altre unità, occuparono Bussolengo, abbandonata in fretta dagli Austriaci. L'episodio di Pastrengo non fu solo una vittoria militare; divenne immediatamente un simbolo eroico per l'Arma, celebrato nell'iconografia e riconosciuto ufficialmente con encomi e decorazioni, inclusa la Croce di Cavaliere per il Maggiore Negri di Sanfront. Fu un battesimo del fuoco che scolpì nel marmo il coraggio e la lealtà dei Carabinieri.
Sviluppi e Conseguenze del Conflitto del 1848-1849
Dopo l'eco di Pastrengo, gli squadroni di Carabinieri continuarono a distinguersi sul campo di battaglia, prendendo parte a nuovi scontri, come quelli nei pressi di Verona e sulle alture di Custoza. Qui, purtroppo, l'esercito sabaudo subì una significativa sconfitta. Ma anche nelle fasi di ritirata, l'Arma dimostrò tenacia e spirito di sacrificio, meritando menzioni nei bollettini militari. Anche a Milano, durante i difficili scontri, i Carabinieri si prodigarono in prima linea. A testimonianza del loro valore in tutta la campagna del 1848, la bandiera dell'Arma fu insignita di una Medaglia d'Argento al Valor Militare per Pastrengo e due Medaglie di Bronzo per altri eroici contributi.
La guerra, intanto, stava volgendo al termine, e le rivolte sparse nella penisola rivelavano aspirazioni spesso più regionali che nazionali. Milano, ad esempio, accolse con una certa apatia la ritirata di Carlo Alberto, e Venezia cercava di riaffermare la propria indipendenza. L'armistizio di Milano interruppe temporaneamente il conflitto, ma la ripresa delle ostilità nel marzo 1849 si concluse rapidamente con la decisiva sconfitta piemontese a Novara. In questa fase cruciale, i Carabinieri ebbero compiti essenziali: raccogliere informazioni sulle forze nemiche, gestire i servizi nelle retrovie e garantire la sicurezza del sovrano e dei quartier generali. A Novara, il loro eroismo fu ancora una volta esemplare, con caduti e un Carabiniere, Ruffo, che, pur ferito, riuscì a portare a termine la sua missione cruciale consegnando il messaggio di cui era latore. A Casale Monferrato, il Tenente Carlo Vittorio Morozzo Mogliano di San Michele si immolò eroicamente nel tentativo di fermare l'avanzata austriaca. L'Arma fu nuovamente elogiata per il suo valore e la dedizione senza pari.
L'abdicazione di Carlo Alberto e l'ascesa al trono di Vittorio Emanuele II portarono a un secondo armistizio e a una nuova rivolta a Genova. Qui, il Maggiore Angelo Ceppi di Bairolo, comandante locale dei Carabinieri, affrontò i rivoltosi con estremo coraggio, perdendo la vita negli scontri. L'ordine fu ripristinato, e l'Arma si distinse anche per la prudenza e la saggezza dimostrate, come nel delicato arresto di Garibaldi a Chiavari. Un momento di altissima tensione politica, gestito con tatto dai Carabinieri, che seppero conciliare il dovere con le complesse esigenze di quel periodo.
La Circolare del 1850: nuovo punto fermo per l'Organizzazione dell'Arma
Dal 1848 al 1867, la guida del Corpo dei Carabinieri Reali fu saldamente nelle mani del Generale Federico Costanzo Lovera di Maria, che si dedicò instancabilmente al suo rafforzamento e alla sua modernizzazione. Il 1850 segnò una tappa fondamentale con l'emissione della "Circolare di massima numero 168", un documento che divenne una pietra miliare per l'Arma. Il suo scopo era chiarissimo: delineare con precisione i principali doveri e le discipline, assicurando che ogni Carabiniere fosse pienamente consapevole dei suoi compiti, evitando abusi o eccessi di rigore che avrebbero potuto minare la fiducia dei cittadini.
La Circolare si concentrava in particolare sui compiti di polizia giudiziaria, sottolineando l'importanza di una profonda conoscenza del codice penale e di procedura criminale. Ribadiva le procedure corrette per l'arresto, i controlli nei luoghi pubblici e la gestione delle contravvenzioni. Ma andava oltre l'aspetto meramente tecnico: insisteva sull'importanza cruciale dell'unione, dell'armonia, della civiltà e del rispetto tra i militari, e soprattutto nei confronti delle autorità e dei cittadini. Le sanzioni per chi contravveniva a queste direttive, in particolare per liti interne o mancanze di rispetto, erano severe. I Carabinieri erano considerati in servizio costante, data la delicatezza delle loro missioni, e sottoposti a regole di condotta estremamente rigide, un modello di professionalità e disciplina.
Nel 1852, l'organizzazione dell'Arma vide alcune modifiche, con una riduzione degli effettivi a cavallo e una revisione dei gradi. L'anno seguente, il servizio dei Carabinieri fu ripristinato in Sardegna con una struttura specifica, il "Corpo dei Carabinieri Reali di Sardegna". Con la nascita del Regio Esercito Italiano nel 1861, questo corpo si fuse con l'Arma, ereditandone le gloriose tradizioni militari e integrandovi figure già decorate con la Medaglia d'Oro al Valor Militare. Era il segnale di una progressiva unificazione e di un rafforzamento organizzativo in vista dei futuri scenari.
La Guerra di Crimea: il primo scenario internazionale
Il biennio 1848-1849 aveva rivelato tutte le complessità della questione italiana, superando le iniziali e generiche aspirazioni all'unità. Il fallimento delle speranze federaliste aveva spinto alcuni a considerare la soluzione unitaria statale, mentre altri rimanevano legati alle tradizioni politiche plurali della penisola. La scena europea, intanto, si agitava: il colpo di stato di Luigi Napoleone in Francia nel 1851 e la sua successiva ascesa a Napoleone III ridisegnarono gli equilibri, riaprendo scenari che il Conte di Cavour aveva ritenuto chiusi. La Guerra di Crimea (1853-1856) destabilizzò ulteriormente l'assetto europeo, con l'insolita alleanza tra eserciti cristiani e i turchi contro la Russia.
Nel 1853, l'attacco russo all'Impero Ottomano provocò l'intervento di Francia e Inghilterra. Il Regno di Sardegna, con l'abile regia di Cavour che mirava a ottenere appoggi internazionali per i progetti sabaudi, decise di partecipare al conflitto. Un corpo di spedizione sabaudo, forte di oltre 18.000 uomini e comandato dal Generale Alfonso La Marmora, sbarcò in Crimea nel maggio 1855. I reparti sabaudi si distinsero in vari scontri, in particolare il 16 agosto, quando respinsero un attacco russo, contribuendo al successo alleato. La caduta di Sebastopoli in settembre pose fine alla guerra.
Definita la "guerra inutile" da Ferdinando Petruccelli della Gattina, per il Conte di Cavour quella spedizione serviva per creare nuove relazioni internazionali. I Carabinieri ebbero un ruolo nella spedizione, con un distaccamento di 52 uomini impiegati in operazioni belliche, servizi di guida e scorta, e compiti di polizia giudiziaria. Furono istituite stazioni anche a Costantinopoli e in altre località per supportare la polizia turca, dimostrando la flessibilità e l'adattabilità dell'Arma. Numerosi furono i riconoscimenti per il loro coraggio e la loro abnegazione, inclusa l'instancabile opera di soccorso ai colpiti dal colera, che purtroppo causò anche due vittime tra i Carabinieri. Al termine del conflitto, il Capitano Emanuele Trotti fu insignito della prestigiosa Legione d'Onore francese e della Croce di Cavaliere dell'ordine di SS. Maurizio e Lazzaro, e numerose altre medaglie furono conferite ai singoli militari. Il Congresso di Parigi del 1856 concluse la pace, garantendo l'integrità dell'Impero Ottomano.
Il disegno di un'Italia unita era ancora lontano dal delinearsi. Tuttavia, la partecipazione alla Guerra di Crimea fu un banco di prova fondamentale per l'Arma, che dimostrò la sua capacità di operare in contesti internazionali complessi, consolidando la sua reputazione di corpo efficiente e affidabile.
L'Arma nella Seconda Guerra d'Indipendenza: Tra Intelligence e Annessioni
Il fallimento della spedizione di Sapri nel 1857 guidata da Carlo Pisacane convinse molti democratici e repubblicani che la strada per l'unità passava per un'alleanza tra la monarchia sabauda e le forze rivoluzionarie. Così, aderirono in massa alla Società Nazionale, convergendo sulle posizioni di Garibaldi. Nel luglio 1858, in un incontro segreto a Plombières, Napoleone III e Cavour siglarono un patto: la Francia avrebbe sostenuto il Regno di Sardegna in caso di attacco austriaco, in cambio delle regioni di Nizza e Savoia.
Quando la guerra scoppiò nell'aprile 1859, la partecipazione dei Carabinieri fu significativamente più ampia rispetto al conflitto del 1848-1849. I servizi di guida e scorta furono delegati alla cavalleria, permettendo ai Carabinieri di concentrarsi su compiti più complessi e delicati di polizia militare e di intelligence. Gruppi specifici di Carabinieri furono assegnati ai quartier generali e alle grandi unità, operando sotto il comando superiore del Colonnello Ferdinando Marani di Montù Beccaria.
Durante il conflitto, i Carabinieri si dedicarono principalmente alla raccolta di informazioni, al rilevamento delle prime mosse nemiche, alla protezione delle linee telegrafiche di frontiera, al controllo e alla segnalazione dei movimenti delle truppe austriache e al servizio di corrispondenza. Il servizio di intelligence, per la prima volta organizzato in modo sistematico, beneficiò enormemente del lavoro capillare dei Carabinieri. Tra i tanti episodi, spicca il comportamento eroico di un Brigadiere che, con una piccola imbarcazione, attraversò da solo il fiume Sesia in piena per fornire al Generale Enrico Cialdini, comandante della 4ª Divisione, informazioni cruciali sulle mosse nemiche. Queste preziose informazioni permisero ai comandi di avere una visione precisa dei movimenti avversari e di organizzare una resistenza efficace in attesa dei rinforzi francesi. Al termine del conflitto, su proposta dello Stato Maggiore e dei comandanti delle Divisioni, furono concesse ai militari del Corpo ben venti Medaglie d'Argento al Valor Militare e venticinque Menzioni Onorevoli, poi commutate in Medaglie di Bronzo.
Napoleone III, che attendeva una insurrezione italiana a giustificazione del suo intervento, rimase deluso dall'attendismo, non volendo attendere oltre una insurrezione che contribuisse al buon esito della guerra, concluse l'armistizio di Villafranca l'8 luglio con l'imperatore Francesco Giuseppe. La Lombardia fu "girata" a Vittorio Emanuele II, un risultato modesto rispetto alle aspettative. Ma la situazione migliorò per Cavour nei piccoli Stati della penisola, grazie a un'abile "destabilizzazione interna" condotta dagli agenti cavourriani. Il 27 aprile 1859, il granduca di Toscana, Leopoldo II, lasciò Firenze senza opporre resistenza. Le prime sconfitte austriache indussero anche la duchessa Maria Luisa di Borbone ad abbandonare Parma, e l'11 giugno Francesco V d'Asburgo-Este, duca di Modena, lasciò la sua capitale.
Nel Ducato di Modena, proclamata la decadenza del sovrano e l'annessione al Regno di Sardegna, il territorio fu presidiato da truppe sabaude, mentre i Carabinieri si occuparono dell'ordine pubblico e dei servizi di polizia, coadiuvati dalle superstiti Gendarmerie locali e dalla Guardia Nazionale. Un processo analogo avvenne nel Ducato di Parma e Piacenza. Gli accordi di pace stipulati a Zurigo in novembre prevedevano però una confederazione italiana e il ritorno dei sovrani legittimi, una mossa che fece crollare la strategia di Cavour, che si dimise per protesta.
Il Commissario straordinario del Governo sardo a Modena, Luigi Carlo Farini, dichiarato "dittatore", chiese che i Carabinieri rimanessero. Sebbene il Governo sabaudo non potesse dare un ordine diretto per rispetto dei trattati, fece sapere confidenzialmente al Maggiore Giuseppe Formenti, comandante dei Carabinieri a Modena, che la loro permanenza volontaria avrebbe contribuito a risolvere una situazione delicata, con l'impegno di reintegro nelle fila ufficiali in caso di insuccesso politico. I Carabinieri scelsero di restare, e la dittatura di Farini si estese anche a Reggio, mentre Parma e Piacenza si adeguarono. Nel frattempo, a Torino, il Maggiore dei Carabinieri Filippo Ollandini fu inviato in Toscana con il compito ufficiale di riorganizzare la Gendarmeria locale. Con decreto del 18 giugno, Ollandini fu nominato comandante della "Gendarmeria Toscana" e promosso Tenente Colonnello, assumendo il comando della "Legione dei Carabinieri Toscana", la nuova denominazione della vecchia Gendarmeria granducale, rapidamente trasformata in un Corpo speciale diviso in tre reparti principali con sedi a Firenze, Livorno e Siena.
Il 16 gennaio 1860, d'intesa con il Governo provvisorio toscano di Bettino Ricasoli, il Governo sardo costituì a Firenze una regolare Divisione dei Carabinieri, come distaccamento del Corpo piemontese. Quasi contemporaneamente furono istituite altre due Divisioni a Livorno e Siena. Dopo il plebiscito dell'11 marzo 1860, che proclamò l'unione della Toscana al Regno Sardo, la forza della Legione dei Carabinieri toscani fu incorporata dall'Arma nella nascente Legione di Firenze, ufficialmente costituita il 1° aprile 1861.
Per superare l'impasse post-Zurigo, Cavour – richiamato alla guida del governo con il forte avallo del plenipotenziario inglese a Torino, sir James Hudson – barattò la cessione alla Francia di Nizza e della Savoia con l'annessione al Regno di Sardegna delle Legazioni Pontificie e dei Ducati. Le clausole della pace di Zurigo non furono applicate, e la rinuncia diplomatica dell'Impero Asburgico, più che la sua sconfitta militare, consolidò la realtà delle giunte rivoluzionarie liberali di Modena, Parma, Firenze e delle Legazioni romagnole. Queste furono prima occupate dall'esercito sardo, in un'operazione presentata all'opinione pubblica europea come un intervento di polizia per impedire la diffusione della sovversione, e poi annesse al Regno di Sardegna. I Carabinieri, che avevano già costituito Tenenze e Stazioni in questi territori, vi rimasero definitivamente, formando i nuclei originari delle future Divisioni Carabinieri di Bologna, Forlì, Modena e Parma, istituite il 16 gennaio 1860.
continua ---> Antonio Rubino
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