Il Sogno Italiano di Carlo Pisacane
Il 22 agosto 1818 nasceva a Napoli
Carlo Pisacane. Ancora oggi, il figlio cadetto di Gennaro duca di San Giovanni
e di Nicoletta Basile De Luca, è noto sia come rivoluzionario e patriota che
come idealista libertario, socialista, proudhoniano. Per alcuni utopista, per
altri primo propugnatore dell’egualitarismo. Carlo Pisacane fu realmente una
figura eclettica passata alla storia per la spedizione di Sapri,
nell’immaginario collettivo sintetizzata nei versi di Luigi Mercantini: eran trecento, eran giovani e forti e sono
morti.
La vicenda di Carlo Pisacane non può
ridursi alla sua ultima tentata impresa, la sua biografia intreccia la storia
d’Italia e d’Europa, ideali, utopie, amore e passione, morte e rivoluzione.
All’età di dodici anni entrò nella
Scuola Militare di San Giovanni a Carbonara e, dopo due anni, passò nel
collegio militare della Nunziatella, frequentato anche dal fratello Filippo che
divenne ufficiale del reggimento degli Ussari e rimase fedele al re di Napoli
fino alla fine.
I suoi studi erano disordinati ma
appassionati. Già negli anni della Nunziatella ha come compagni di studi Enrico
Cosenz, Girolamo Ulloa, Matteo Negri, i fratelli Luigi e Carlo Mezzacapo. Egli,
fin da giovane elabora il suo idealismo. Nel 1839 fu nominato Alfiere del 5°
Reggimento, ma il suo carattere e il suo modo di vedere il mondo gli fecero
accogliere mal volentieri l’incarico di coordinatore del lavoro di costruzione
della ferrovia Napoli-Caserta (1840).
Inoltre, tra le passioni ideali
arriva impetuosa la passione amorosa. Si innamora di Enrichetta Di Lorenzo,
donna già sposata con Dionisio Lazzari. Nell’ottobre 1846 fu accoltellato
mentre rientrava in casa dei genitori. Rischiò di morire, ma riuscì a
riprendersi e una volta rimessosi, dichiarò di aver subito un assalto da parte
di comuni malfattori. Nel febbraio 1847, con un falso nome, lascia la carriera
militare e fugge da Napoli con Enrichetta Di Lorenzo, che abbandonò il marito e
tre figli.
I due si rifugiano prima Londra e poi
a Parigi, dove conobbe il generale Pepe lì rifugiatosi dopo i moti del 1820/21
ed anche Dumas, Hugo, Lamartine, e George Sand. I diplomatici di Ferdinando II
li inseguirono. I due fuggitivi patirono il carcere ma se la cavarono quando si
scoprì che l’ex marito della Di Lorenzo non aveva sporto denuncia (forse per
evitare di venir identificato come il mandante dell’agguato subito da Pisacane).
La storia d’amore con Enrichetta è
degna di un romanzo e Carlo la racconta nella lettera di addio alla famiglia. I
due saranno inseparabili fino alla morte di Carlo.
Nel 1847 Pisacane si arruolò nella
Legione Straniera dove apprese i segreti della guerriglia prestando servizio in
Algeria. Il 1848 cambiò la storia. Pisacane si entusiasmò per la rivoluzione. E
la rivoluzione invase l’Europa. Torna in Francia e mentre apprende che nel
Regno delle Due Sicilie si è adottata la Costituzione e il governo liberale di
Carlo Troya partecipa alla guerra contro l’Austria, parte con Enrichetta alla
volta di Milano. Conosce Carlo Cattaneo e ottiene il comando di una compagnia.
Si distingue sul campo di battaglia contro gli Austriaci, come in quello della
polemica politica e contro i comandi militari. Viene ferito a un braccio e la
stampa lombarda lo dipinge come eroe temerario.
La fine della rivoluzione milanese lo
fa ritrovare, insieme a Mazzini e Cattaneo, in Svizzera.
Il centro della rivoluzione si è
trasferito a Roma. Quindi Pisacane con l’inseparabile Enrichetta si trasferì a
Roma, dove, stretti i rapporti con Goffredo Mameli, Giuseppe Garibaldi, Aurelio
Saffi e Giuseppe Mazzini divenne membro della commissione di guerra e capo
dello Stato Maggiore della Repubblica Romana. Carlo ed Enrichetta diventano una
coppia simbolo della rivoluzione romantica. Si prodigano senza risparmio per la
Repubblica Romana che, comunque, cadde ad opera dei sodati francesi chiamati
dal Papa Pio IX. Formazioni austriache e spagnole invadono il territorio
romano, mentre anche il Re di Napoli partecipa allo scontro per sopprimere la
rivoluzione romana. Alla guida di uno degli squadroni di cavalleria borbonica
che combattono i repubblicani vi è Filippo Pisacane, fratello di Carlo.
Non si scontrano direttamente i due
fratelli: Carlo venne arrestato e tenuto in Castel Sant’Angelo, liberato dopo
poco tempo partì per Losanna e poi per Londra.
Carlo ed Enrichetta sono ormai
organici al movimento nazional-patriottico Italiano.
Il radicalismo ideologico di Pisacane
lo porta ad essere un intransigente repubblicano, ritiene che la causa di
unificazione italiana deve essere perseguita attaccando i Borbone e anche la
monarchia Sabauda. Si scontra persino con Mazzini con il quale visse fianco a
fianco l’esperienza di esule.
Intanto, aver vissuto lontano da
Enrichetta per un periodo aveva messo in crisi la loro relazione. Decide quindi
di rientrare in Italia, raggiunge la sua amata a Genova.
Tra il 1851 e il 1856 scrisse due
opere importantissime: Guerra combattuta
in Italia negli anni 1848-49 e i Saggi
storici, politici e militari sull’Italia.
In queste opere sostiene l’idea di
far coincidere l’Unità e l’Indipendenza con l’emancipazione dei cittadini, non
accetta remore sull’idea repubblicana, propugna la necessità di coinvolgere
nella lotta le popolazioni. Il suo studio di Proudhom fa emergere lati
utopistici del suo pensiero, si convinse che i luoghi dove la repressione degli
antichi regimi era più forte sarebbero stati gli spazi dove far esplodere
naturalmente la rivolta popolare: nasce e prende sempre più peso il sogno di
una insurrezione meridionale.
A Genova ritrova i vecchi colleghi
della Nunziatella e gli esuli napoletani, nonché i reduci di Roma.
La sua militanza rivoluzionaria era
costellata di esperienze, incontri e anche delusioni vissute in tutta Europa.
Le sue idee sempre più radicali lo portano a continui scontri (anche un duello)
che animano il periodo vissuto a Genova.
«La
libertà senza l’uguaglianza non esiste, e questa e quella, sono condizioni
indispensabili alla nazionalità che a sua volta le contiene, come il sole, la
luce e il calorico» partendo da questo assunto, convinto che le masse
dovevano essere educate tramite l’azione, che equivaleva alla lotta per
soddisfare gli interessi materiali, Pisacane diviene il principale sostenitore
di una spedizione armata nel Mezzogiorno, vista con perplessità dal mondo
moderato dei comitati nazionali e, persino, da Giuseppe Garibaldi.
L’attentato a Ferdinando II di
Borbone da parte di un soldato calabrese, il sostegno all’idea di una
spedizione da parte di Mazzini, fecero illudere Pisacane che fosse il momento
giusto per l’insurrezione armata al sud: nell’estate del 1856 inizia
l’organizzazione della spedizione.
Nei primi mesi del 1857 Carlo
Pisacane, quindi, si dedicò con tutte le sue forze a preparare il moto
insurrezionale stabilendo i rapporti con Nicola Fabrizi, Giuseppe Fanelli,
Giovanni Nicotera e Giovan Battista Falcone, convinto come era che vi fossero
possibilità di successo se i contadini abbandonavano la zappa e imbracciavano il fucile. Prima di dare
inizio alla spedizione Pisacane scrisse il suo Testamento politico che consegnò alla giornalista inglese Jessie
White, testamento nel quale egli ribadì i principi politici che avevano
improntato tutta la sua esistenza:
«Nel
momento di avventurarmi in una intrapresa risicata, voglio manifestare al Paese
la mia opinione per combattere la critica del volgo, sempre disposto a far
plauso ai vincitori e a maledire i vinti. I miei principi politici sono
sufficientemente conosciuti; io credo al socialismo, ma a un socialismo diverso
(…) Il socialismo di cui parlo può
definirsi in queste due parole: LIBERTA’ ED ASSOCIAZIONE (...) Io sono convinto che nel Mezzogiorno
d’Italia la rivoluzione morale esiste; che un impulso energico può spingere la
popolazione a tentare un movimento decisivo. (…) Se giungo sul luogo dello sbarco, che sarà Sapri, io credo di aver
ottenuto un grande successo personale, dovessi pure lasciare la vita sul palco.
Semplice individuo, quantunque sia sostenuto da un grande numero di uomini
generosi, io non posso che ciò fare, e lo faccio. Il resto dipende dal paese e
non da me. Io non ho che la mia vita da sacrificare per quello scopo e in questo sacrificio non
esito punto».
Il 25 giugno Pisacane e trenta uomini
si imbarcano sul piroscafo Cagliari. Con un ammutinamento incruento prendono il
comando della nave, ma falliscono l’incontro con l’imbarcazione che doveva
fornire uomini e munizioni. Le insurrezioni a Genova e Livorno che erano state
progettate come sostegno alla spedizione, fallirono miseramente. La spedizione
mostrava tutta la sua debolezza organizzativa, ma Pisacane era determinato e
riacquistò entusiasmo portando a termine il colpo di mano a Ponza, dove
liberarono i prigionieri dei Borbone che, a differenza di Pisacane, mostrarono
scarso entusiasmo. Da Ponza ripartì il Cagliari con circa trecento uomini,
erano per lo più militari in punizione o condannati per reati comuni. Il 28
giugno sbarcarono a Sapri. Non trovarono nessuno. I comitati locali e quelli
lucani non erano stati informati per tempo. Pisacane non si scoraggiò neanche
qui, ma puntò verso il Vallo di Diano come programmato.
Il 30 giugno, a Padula, i militari
borbonici mobilitati dall’allarme per la presenza dei rivoluzionari, attesero i
trecento. Nel frattempo i principali esponenti del movimento unitario, controllati
dalla polizia borbonica, erano stati portati in carcere a Salerno.
Il giorno dopo fu battaglia. Nel giro
di poche ore i rivoltosi furono sbandati. Molti uccisi, altri catturati.
I pochi superstiti si mossero nella
valle sotto Padula, muovendo verso Sanza. Qui la guardia urbana mobilitò anche
la popolazione. Per Pisacane e gli ultimi uomini della spedizione non vi era
più scampo. Nicotera venne ferito e arrestato. In tanti vennero uccisi a sangue
freddo. Pisacane morì: non si è mai saputo se fu suicidio o perì sotto i colpi
del nemico. Era il 2 luglio 1857.
Enrichetta, tra le principali
oppositrici della spedizione, si rifugiò a Torino con la figlia Silvia.
Garibaldi, che pure si era opposto
alla spedizione, nel 1860, appena entrato trionfalmente a Napoli, assegnò a
Silvia Pisacane una pensione.
Nicotera, liberato dal carcere adottò
Silvia, tenendo fede a un giuramento fatto a Pisacane.
Furono tutti fedeli a un giuramento,
anzi a un sogno, il sogno italiano di Carlo Pisacane.
Nel 1863, nel suo La Spedizione di Carlo Pisacane a Sapri. Giacomo Racioppi scrisse: Marsala riabilita Sapri, come Pisacane precorse Garibaldi.
Antonio Rubino
Articolo pubblicato su IVL 24: https://ivl24.it/il-sogno-italiano-di-carlo-pisacane/
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