La Poesia come dono di Dio: la storia di Donata Doni da Lagonegro

Giudice: Qual è la sua professione?

Brodskij: Poeta, poeta e traduttore.

Giudice: E chi ha riconosciuto che siete poeta? Chi vi annovera tra i poeti?

Brodskij: Nessuno. E chi mi annovera nel genere umano?

Giudice: Avete studiato per questo?

Brodskij: Per cosa?

Giudice: Per essere un poeta! Non avete cercato di completare l'università dove preparano... dove insegnano...

Brodskij: Non pensavo... Io non pensavo che ci si arrivasse con l'istruzione

Giudice: E come?

Brodskij: Io penso che...venga da Dio...

Questo è uno stralcio di una delle udienze stenografate nell’ambito del processo a Iosif Brodskij. Il poeta russo, che sarà Nobel per la letteratura nel 1987, era finito davanti un giudice accusato di “parassitismo”. Il regime comunista non ammetteva che vi fossero cittadini senza lavoro. In realtà il “lavoro” di Brodskij non è ammesso dai canoni sovietici, la sua poesia è troppo indipendente, come egli stesso dice durante il processo, è qualcosa che viene da Dio, non la si può strozzare.



Il poeta russo venne condannato ai lavori forzati, all’esilio. Tuttavia non fu uccisa la sua poesia.

Con un volo che apparirà pindarico, dal processo sovietico del 1964 voliamo indietro nel tempo e arriviamo in Basilicata. Il volo pindarico è giustificato da quella frase di Brodskij, il dono della poesia che viene da Dio. È il linguaggio universale della poesia che ci consente di arrivare dalla Russia Sovietica a Lagonegro, dove nasce il 24 novembre 1913 Santina Maccarrone, poetessa. Nessun parallelismo, solo un volo pindarico che è una licenza poetica, ma la frase di Brodskij sulla poesia che viene da Dio è una scintilla che illuminerà tutta la vita e l’opera di Donata Doni, il nome che Santina sceglierà per firmare le sue liriche. Donata Doni attraverso la poesia cerca, trova e spiega Dio. Medita e interpreta la vita, approccia alla poesia come materia divina, maneggiata dall’uomo per tendere a Dio.

La poesia di Donata Doni è colpevolmente marginale nel dibattito, nelle antologie, forse anche nell’accademia. Recuperabile attraverso un nuovo approccio, oggi la poetica della Doni andrebbe riconsegnata a un pubblico più vasto.

Nei componimenti di Donata Doni è presente una forte formazione religiosa, ma anche l’insicurezza, la considerazione che l’esistenza è sofferenza, angoscia, paura.

Non esiste un volume che raccolga tutte le poesie della poetessa nata in Lucania: Il pianto dei ciliegi, La carta dispari, Il fiore della gaggia. Neve e mare sono le quattro raccolte di poesie pubblicate a Roma dalle “Edizioni di Storia e Letteratura”, fondate dal lucano Don Giuseppe De Luca che fu suo amico, guida e maestro.

Donata Doni nacque a Lagonegro da Federico Maccarrone, direttore dell’Ufficio del Registro, e da Giuseppina Gorini, insegnante di francese presso la Scuola Normale. L’esigenza di risiedere in un posto in cui fossero presenti l’ Ufficio del Registro e la Scuola Magistrale, indusse i coniugi Maccarrone a spostare la loro residenza dalla Sicilia, prima a Tropea poi a Lagonegro. Il padre Federico, nel 1915, fu chiamato al fronte e vi rimase per tutta la guerra. La madre si trasferì a Pontremoli, prima, e a Forlì, poi. Santina unì la cultura (e la dolcezza) materna a quella che le derivò dalla frequenza del Liceo di Forlì, dove fu allieva del Prof. Vittorio Lugli. Nello stesso tempo ebbe un’intensa formazione religiosa grazie all’influenza dell’intelligente e colto parroco mons. Don Giuseppe Utili e fece esperienze di vita nelle associazioni cattoliche. Conseguita la licenza liceale, studiò a Padova, dove ebbe come maestri Giovanni Bertacchi, Concetto Marchesi, Diego Valeri, Ramiro Ortiz. In questa università crebbe e si consolidò la sua vocazione per la poesia. Scrisse fin dal 1928, ma solo negli anni ’60 iniziò la pubblicazione delle sue opere.

Innamorata dei simbolisti francesi, fortemente convinta ad inseguire il sogno della poesia, diviene prima docente di materie letterarie e successivamente lavorerà a Roma per il Ministero dell’Istruzione. Nella capitale, dove arriva nel 1945 tra le macerie della guerra, conosce Don Giuseppe De Luca. Il legame con il colto sacerdote diventerà molto forte e imprimerà un segno nella poetica come nella fortuna editoriale dell’opera di Donata Doni.

Il sentimento religioso attraversa in modo dilagante le poesie: la parola semplice, trasparente, dolce della Doni si impregna di una sorta di misticismo. Spesso questo sentimento si traduce in amore per la vita e per il creato come ne  Il Pianto dei Ciliegi

Ti è passato accanto il Signore /e non hai aperto le porte /della tua casa.

Le luci di tutti gli smeraldi, /i nitidi occhi delle stelle più pure, /l’alito della vita che spira /tra le selve d’uomini e di foglie /sono povere cose nel nulla /di fronte al dono che il Signore /voleva recarti, quando, /forte di un silenzio d’amore, /ha sostato davanti alla soglia /della tua casa.

Donata Doni vive una vita segnata anche da spostamenti, sofferenze, malattia. Così le sue poesie diventano anche autobiografia, racconto di una vita. Della sua Carta Dispari dice lei stessa: “carta dispari è la consapevolezza di essere stata fin da bambina predestinata a perdere nel gioco (come nella vita); di essere colei cui toccava sempre, fin dai giochi infantili, la carta sbagliata, la carta perdente, anzi la carta della vergogna, della derisione, del dileggio”.

Nel gioco delle carte tra bambini, /“somarone”lo chiamavano in Romagna, / mi toccava sempre la carta dispari, /la vergogna dell’asso di bastone. (…) Mi tocca ancora la carta dispari /la solitudine dell’asso di bastone, /il simbolo della sconfitta.

La forza della sua espressione poetica si coglie in modo particolarmente vivo, nella comunicazione della sofferenza, nel nostalgico pensiero alla sorellina angelo, prenata a me, oltre il cancello dei morti di Lagonegro:

la sorellina morta, / ritratto che guardava la tua infanzia, /la sorellina angelo, /Santina come te si chiamava, /per anni è stata poi sepolta /nel fondo del cuore./Santina, Lagonegro /il paese dove nacqui, ove dorme /il tuo sonno di bambola piccina /nella cuffietta della fotografia. /Ora che la morte mi tende / una mano che rifiuto, /ora, dopo anni di silenzio, /riascolto la tua voce. /Tu, prenata a me, /tu angelo che mi segui /come un sorriso lontano. /Sorellina e se tu fossi rimasta /oltre i cancelli del giardino /dei morti, a Lagonegro?

Le parole di Donata Doni hanno capacità indefinibili di coinvolgere, di creare una condivisione di sentimenti di trasfondere un’inquieta condizione di spirito aperto all’amore, al bisogno mai soddisfatto di felicità terrena, ma teso dall’altra parte verso una pace assoluta, verso la divinità.

Al mondo frenetico di oggi la meditata poesia di Donata Doni, riporta la fragilità delle cose, il loro essere effimere, ma contemporaneamente la cristiana redenzione nel dolore.

Durante un ricovero in ospedale per nuovi problemi di salute, nel settembre del 1961, Don Giuseppe De Luca le scrisse: «Coraggio, stai bene, leggi, scrivi, prega, canta se ti piace cantare, a voce spenta, sii insomma felice, della vita che hai tolto di mano alla morte ladra, e di colui, Dio che hai ritrovato, e non lo lasciare un attimo»

Te ne andrai
sul groviglio lunghissimo di strade
senza colore. Con le ciglia serrate,
con il cuore perduto te ne andrai.

Questi versi sono tratti da una poesia di Donata Doni che si intitola Lama di Luce. Il contrasto tra l’idea di un cuore perduto e la Luce, emerge misterioso. Probabilmente è il mistero della morte che come una Lama di Luce fa tornare tutto all’origine, a quel Dio così cercato e anelato, attraverso la poesia svelato e vissuto. Il 15 dicembre 1972, per strada, a Roma, il cuore di Santina Maccarrone cessò di battere, non la sua poesia che … io penso, venga da Dio.

Antonio Rubino 

Articolo pubblicato da IVL24 https://ivl24.it/la-poesia-come-dono-di-dio-la-storia-di-donata-doni-da-lagonegro/

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