La mia patria è dove l'erba trema. Omaggio al Sindaco Poeta Rocco Scotellaro a 100 anni dalla sua nascita.

  Rocco Scotellaro, poeta della civiltà contadina 

 di Antonio Coppola 

(Tratto dal libro: Semi nel vento, scritti scelti del prof. Antonio Coppola, a cura di A. Rubino, Moliterno, Valentina Profidio Editore, 2019.)


Rocco Scotellaro nacque a Tricarico (Matera) il 19 aprile 1923 e lì trascorse la sua fanciullezza; di quel periodo scrisse: «
Io nacqui ed aprii gli occhi e fissai i ricordi la prima volta che mio padre andava al negozio di cuoiami con i discepoli e i lavoranti, mio nonno mi legava le scarpe e un cane rossastro mi portava addosso, che si chiamava Garibaldi»[1].

Successivamente fu mandato a studiare in collegio a Sicignano degli Alburni (Sa) e, in questo periodo della prima giovinezza, cominciò a riflettere sul rapporto con la natura: «l’aria è bella, va’ tutto bene, solo che l’ombra torna più presto sui piedi: le ultime sere di vacanze, in ottobre, il vino, la vendemmia, l’arare; non c’è davvero altro che conti che sentirsi l’anima in corpo»[2].

Dalla tradizione familiare ereditò la vocazione per il socialismo e fondò, nel 1944, la sezione del Partito a Tricarico.

Nel 1946, all’età di appena 23 anni, fu eletto sindaco di Tricarico e conobbe Carlo Levi al quale rimase legato da una profonda amicizia. Affrontò la lotta quotidiana nel suo piccolo comune ed assistette alla caduta dei primi entusiasmi contadini dopo le elezioni del 1948 che diedero la maggioranza assoluta alla D.C. contro il Fronte Popolare. La delusione fu tanto grande che sentì il bisogno di scrivere una poesia sociale:

«Carte abbaglianti e pozzanghere nere

hanno pittato la luna

sui nostri muri scalcinati!

I padroni hanno dato da mangiare

quel giorno si era tutti fratelli,

come nelle feste dei Santi

abbiamo avuto il fuoco e la banda.

Ma è finita, è finita, è finita

quest’altra torrida festa

siamo qui soli a gridarci la vita

siamo noi soli nella tempesta.

E se ci affoga la morte

nessuno sarà con noi,

e col morbo e la cattiva sorte

nessuno sarà con noi.

I portoni ce li hanno sbarrati

si sono spalancati i burroni.

Oggi ancora a duemila anni

porteremo gli stessi panni.

Noi siamo la turba

la turba dei pezzenti,

quelli che strappano ai padroni

le maschere coi denti»[3].

Nel 1950 fu accusato di peculato e pertanto fu rinchiuso in carcere. Visse una terribile esperienza. La sua innocenza fu riconosciuta dai giudici ed egli, scarcerato, riprese la lotta per il riscatto e l’emancipazione della sua gente.

Questa vicenda, tuttavia, lo aveva segnato ed aveva fiaccato il suo spirito, per cui preferì accettare un incarico di lavoro presso l’Osservatorio Agrario di Portici.

Da allora le sue visite in Lucania divennero sempre meno assidue e quando vi tornò lo fece come studioso ed osservatore della sua gente. Mentre rivolgeva la sua attenzione alla ricerca sociologica sulla sua gente, morì improvvisamente a Portici il 15 dicembre 1953[4].

L’opera di Rocco Scotellaro (È fatto giorno - L’uva puttanellaContadini del SudLa Vita)[5] ha suscitato interesse in Italia ed in molti paesi del mondo. Traduzioni delle sue opere si sono avute in Francia, in Germania, negli Stati Uniti e perfino in Giappone. Sicuramente la sua morte in giovanissima età, il suo impegno umano, il mondo da lui rappresentato, la civiltà che prende in esame hanno contribuito notevolmente a farlo conoscere suscitando grande interesse nei lettori.

La produzione artistica di Rocco Scotellaro non è scindibile nei suoi testi, ma è un tutto unico: le poesie, i racconti, i frammenti, gli appunti, tutto si può e si deve ricondurre ad un’unica chiave di lettura. Il mondo che egli presenta è quello contadino: i suoi personaggi sono umili, ma protagonisti.

I contadini scoprono se stessi, la loro famiglia, il paese in cui vivono, lo Stato, attraverso un’esperienza assolutamente personale. L’opera di Scotellaro esprime con chiarezza il riferimento a tutta la sua breve esistenza dedicata alla lotta per l’emancipazione dei contadini, che egli guidò nel Comune di nascita (Tricarico) nel tentativo di favorirne la crescita economica e sociale attraverso la conquista delle terre, ma anche dedicata alla scoperta del gaio rapporto con quegli uomini, con quel mondo, con quel paesaggio, espressione di una realtà precaria e dolente:

«M’accompagna lo zirlìo dei grilli

e il suono del campano al collo

di un’inquieta capretta.

Il vento mi fascia

di sottilissimi nastri d’argento

e là, nell’ombra delle nubi sperduto,

giace in frantumi un paesetto lucano.»[6]

Il poeta stesso è parte del mondo contadino perché in esso è nato, di esso ha acquisito i costumi, la lingua. E se è vero che egli nasce in una famiglia di artigiani contadini, è pur vero che cresce in un paese di tutti contadini. Quindi, egli fa sua quella mentalità e, nel momento in cui prende coscienza delle condizioni delle masse, assume un impegno morale e di vita: contribuire all’emancipazione della povera gente, dei contadini, dei cafoni di cui egli fa parte e di cui si sente parte.

Egli lo fa in tutti i modi: pagando le contravvenzioni dei poveri, dando i pochi spiccioli che ha ai bisognosi, impegnandosi come sindaco a portare avanti le necessità del Comune, lottando per istituire un minimo di servizi sociali, capeggiando le lotte contadine per la conquista delle terre, per la sacrosanta emancipazione dell’uomo.

Così esprime il motivo della rivolta contadina in quella bellissima lirica definita da Levi “La Marsigliese contadina”:

«Non gridatemi più dentro,

non soffiatemi in cuore

i vostri fiati caldi, contadini.

Beviamo insieme una tazza colma di vino!

che all’ilare tempo della sera

s’acquieti il nostro vento disperato.

Spuntano ai pali ancora

le teste dei briganti e la caverna,

l’oasi verde della triste speranza,

lindo conserva un guanciale di pietra.

Ma nei sentieri non si torna indietro.

Altre ali fuggiranno

dalle foglie della cava,

perché lungo il perire dei tempi

l’alba è nuova, è nuova»[7].

 

I suoi contadini cercano in tutti i modi di migliorare la propria condizione, si interrogano su di essa, scoprono le caratteristiche della loro vita, conoscono lo stato, fanno sacrifici.

 

«È fatto giorno, siamo entrati di poco anche noi

 con i panni e le scarpe e le facce che avevamo.

 Le lepri si sono ritirate e i galli cantano,

ritorna la faccia di mia madre al focolare»[8].

 

Rocco Scotellaro, quindi, mette in movimento i problemi del Mezzogiorno, che non sono solo quelli del mondo contadino del meridione italiano, ma sono i problemi di tutti i poveri ed i diseredati di ogni paese del mondo, di qualsiasi paese nel quale si sente il bisogno di un salto di qualità, di un mutamento della civiltà e dei rapporti fra le diverse classi sociali[9].

Ma non solo. Il poeta di Tricarico focalizza i problemi che investono le diverse generazioni e specialmente i giovani che devono prendere coscienza del mondo in cui vivono per poterlo poi modificare, avviare verso un futuro di migliore giustizia, di maggiore comprensione, di più sostanziosa solidarietà.



[1] R Scotellaro, L’uva puttanella, in R. Scotellaro, Tutte le opere, Milano 2019.

[2] Ibid.

[3] Pozzanghera nera il 18 aprile, in R. Scotellaro, Tutte le opere… op.cit.

[4] Di seguito alcuni saggi, tra i principali, sulla figura del sindaco-poeta: M. Alicata, Il meridionalismo non si può fermare a Eboli, in «Cronache meridionali», I, 1954, 9, pp. 585-603; E. Montale, Scotellaro, in «Corriere della sera», 16 Ottobre 1954; C. Muscetta, Rocco Scotellaro e la cultura dell’«uva puttanella», in «Società», X 1954, 5, pp. 913-923; F. Fortini, La poesia di Scotellaro, Roma-Matera 1974; M. Rossi-Doria, Scotellaro vent’anni dopo, in Il sindaco poeta di Tricarico, Roma-Matera 1974, pp. 9-31; C.A. Augieri, Provocazioni su Scotellaro, Lecce 1977; F. Vitelli, Bibliografia critica su Scotellaro, Matera 1977; M. Dell’Aquila, I Contadini del Sud di Scotellaro: inchiesta sociologica e mediazione letteraria, in «Otto/Novecento», VI 1982, 6, pp. 221-232; P. Giannantonio, Rocco Scotellaro, Milano 1986; G.B. Bronzini, L’universo contadino e l’immaginario poetico di Scotellaro, Bari 1987; R. Mazzarone, Introduzione a P. Scotellaro, Rocco Scotellaro sindaco, Napoli-Brienza 1999; C. Muscetta, Rocco Scotellaro e la cultura dell’uva puttanella, Valverde 2010.

[5] Alcune delle principali edizioni delle sue opere: È fatto giorno, prefazione di C. Levi, Milano 1954 (edizione rivista e integrata a cura di F. Vitelli, Milano 1982); Contadini del Sud, prefazione di M. Rossi-Doria, Bari 1954; L’uva puttanella, prefazione di C. Levi, Bari 1955; L’uva puttanella. Contadini del Sudprefazione di C. Levi, Bari 1964 (nuova edizione, a cura di F. Vitelli, Roma-Bari 1986); Uno si distrae al bivio, prefazione di C. Levi, Roma-Matera 1974; Margherite e rosolacci, a cura di F. Vitelli e con prefazione di M. Rossi-Doria, Milano 1978; Giovani soli, a cura di R. Toneatto, con prefazione di L. Sacco, Matera 1984; Scuole di Basilicata, Napoli-Brienza 1999. 

[6] Lucania, 1940, in R. Scotellaro, Tutte le opere…op. cit.

[7] Sempre nuova è l’alba, in R. Scotellaro, Tutte le opere…op. cit.

[8] È fatto giorno, Ibid.

[9] Si ritiene importante segnalare anche la filmografia su Rocco Scotellaro, principalmente: Rocco e i suoi fratelli, regia di Luchino Visconti, 1960 e Rocco Scotellaro, regia di Maurizio Scaparro, 1979.

Commenti

Post popolari in questo blog

L'Ordinamento degli Archivi secondo il principio di provenienza liberamente applicato

Cosa si intende per "metodo" nell'ordinamento di un archivio*

Archivistica per tutti: cos'è l'ordinamento per materia ?