Ordinare gli archivi cronologicamente e alfabeticamente?

 di Carmine Venezia

Direttore dell'Archivio di Stato di Caserta


ORDINARE GLI ARCHIVI CRONOLOGICAMENTE E ALFABETICAMENTE?[1]

 Eugenio Casanova[2], nel suo celebre manuale, individua due criteri di ordinamento archivistico che palesemente “sboccano in un ordinamento errato, in una confusione maggiore di prima[3]”: quello cronologico e quello alfabetico[4].

La data rappresenta senz’altro l’elemento più stabile e sicuro, oltre ad essere quello più agevolmente applicabile senza alcuna ambiguità di sorta. Il suo utilizzo potrebbe avvenire per l’ordinamento di atti simili – solitamente emanati dallo stesso ente o gruppo di enti – che documentano il graduale svolgimento di un’attività, individuando spesso il rapporto causa/effetto della stessa. Tra gli usi più frequenti si segnala la disposizione cronologica di sentenze, protocolli, registri e volumi[5], di un carteggio di una determinata personalità, delle pergamene di un archivio diplomatico[6]. Quest’ultima casistica, però, oltre a basarsi sulla cronologia, è innanzitutto concepita sulla selezione del materiale scrittorio su cui i documenti sono redatti, generando senz’altro una raccolta di documenti[7]. L'ordinamento cronologico può rivelarsi efficace esclusivamente in presenza di organismi limitati o comunque che svolgano un'attività del tutto omogenea e ripetitiva: in quelli più complessi non riflette la loro evoluzione storica, a volte confondendo nel suo seno parecchi di questi organismi[8].

L'ordinamento cronologico è utile sempre alla ricerca, e pregevole finché non esca dai limiti che permettono a tutti i suoi elementi di conservare la loro efficacia. Crea invece confusione, incertezza, disordine, quando voglia troppo abbracciare[9].

Il metodo alfabetico, invece, ordina gli atti in base alla lettera iniziale di un nome indice, solitamente riferito ad una persona[10] o una località di riferimento[11], e – all'interno di questa suddivisione[12] – secondo la cronologia[13]. Piuttosto frequente è il suo utilizzo per i carteggi, raggruppando alfabeticamente per cognome del mittente le lettere inviate ad un determinato destinatario. In tal caso può essere finalizzato ad uno scopo di ricerca determinata, ma può provocare la disorganizzazione del residuo carteggio, disgregando le relazioni causa/effetto tra le varie lettere. La sua applicazione può giovare alla ricerca solo entro certi limiti, varcati i quali diviene eccessivamente soggettiva, conducendo ad un parziale risultato delle indagini[14]. Secondo Salvati, questo metodo “non può essere assunto come principio informatore di sistemazione archivistica e la sua applicazione resta efficacemente limitata ad alcune serie, come è il caso della raccolta dei fascicoli del personale o di una raccolta di carte geografiche[15]”. Vagnoni sottolinea l'impossibilità di utilizzarlo come unico metodo di ordinamento degli atti “in quanto porta a disperdere la conoscenza delle relazioni tra i vari atti di uno stesso archivio[16]”. Giordano ritiene che il metodo alfabetico sia “suggestivo per l'individuo sprovveduto, ma l'archivista competente lo sconsiglierà quasi sempre, perché comporta sicuri inconvenienti e non è pratico[17]”, mentre Barone lo consiglia solo per ordinare “un archivio di poche filze di atti appartenente ad una persona sola, ad una famiglia ecc.[18]”.

Quindi, anche questo metodo è, secondo noi, di scarsa applicabilità; non può mai estendersi all’ordinamento generale di un archivio, senza crearvi la massima confusione e disorganizzazione; e giova soltanto, se, adoperato entro i limiti precisi, che assicurino il controllo, il raffronto dei suoi dati e dei suoi elementi[19].

Di norma l’ordinamento cronologico e quello alfabetico vengono annoverati nel più ampio alveo di quello che i tedeschi definiscono principio di pertinenza[20], un ordinamento basato sul contenuto dei documenti (materia, persona, luogo, data ecc.). Bisogna però precisare che in alcuni casi questi tipi di ordinamento rispecchiano quello originario conferito dal soggetto produttore, coincidendo dunque con il metodo storico. In conclusione, come tutti gli ordinamenti per pertinenza, essi si definiscono come tali solamente quando la documentazione organicamente strutturata viene estrapolata dal contesto archivistico originario, generando una mera somma di documenti[21].

  BIBLIOGRAFIA


Nicola BARONE, Lezioni di archivistica, Napoli, Premiata Scuola tipografica dei sordomuti, 1914.

Eugenio CASANOVA, Archivistica, 2. ed., Siena, Lazzeri, 1928 (ristampa anastatica: Torino, Bottega d’Erasmo, 1966).

Ugo FALCONE, Gli archivi e l'archivistica nell'Italia fascista: storia, teoria e legislazione, Udine, FORUM, 2006.

Virgilio GIORDANO, Archivistica e beni culturali, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia editore, 1978.

Elio LODOLINI, Archivistica: principi e problemi, 14. ed., Milano, Franco Angeli, 2011.

Jole MAZZOLENI, Lezioni di archivistica, Napoli, L'Arte tipografica, 1962.

Samuel MULLER Fz., Johan Adriaan FEITH, Robert FRUIN Th. Az., Ordinamento e inventario degli Archivi, traduzione libera con note di Giuseppe Bonelli e Giovanni Vittani, Torino, Unione Tipografico-Editrice torinese, 1908 (opera originale: Samuel Muller Fz., Johan Adriaan Feith, Robert Fruin Th. Az., Handleiding voor het ordenen en beschrivjen van archieven, Groningen, 1898).

Antonio ROMITI, Il metodo storico e la teoria del vincolo unico “polimorfo”, in L’adozione del metodo storico in Archivistica: origine, sviluppo, prospettive, seminario, Salerno, 25 maggio 2007, a cura di Raffaella Maria Zaccaria, Salerno, Laveglia & Carlone, 2009, pp. 25-47.

Catello SALVATI, Orientamenti archivistici, Napoli, Liguori, 1979.

Donato TAMBLÉ, L'archivio moderno: dottrina e pratica, Roma, Majorca, 1981.

Salvatore VAGNONI, Archivistica, Roma, Editrice Trionfale, 1972.

Filippo VALENTI, A proposito della traduzione italiana dell’“Archivistica” di Adolf Brenneke, in “Rassegna degli Archivi di Stato”, XXIX/2 (1969), pp. 441-455.

 



[1]L’articolo offre degli spunti di riflessione, a fini divulgativi, per i non addetti ai lavori.

[2]Direttore dell'Archivio di Stato di Napoli dal 1907 al 1915, soprintendente dell'Archivio di Stato di Roma e dell'Archivio del Regno dal 1916 al 1933, ricoprì la prima cattedra di archivistica nelle Università italiane, nel 1925 presso “La Sapienza” di Roma, in seno alla Facoltà di “Scienze politiche”. Falcone lo definisce “l'archivista, il consulente archivistico, lo storico degli archivi più noto in Italia e all'estero” (Falcone, Gli archivi e l'archivistica nell'Italia fascista, 2006, p. 66).

[3]Casanova, Archivistica, 1928, 2. ed., p. 198.

[4]Brenneke sottolinea come i metodi di ordinamento cronologico e alfabetico non devono essere considerati indipendenti, in quanto trattasi di estrinsecazioni di uno dei due tipi fondamentali di ordinamento: quello secondo il principio del contenuto, contrapposto al principio della provenienza (Valenti, A proposito della traduzione italiana dell'“Archivistica di Adolf Brenneke, 1969). Anche Lodolini li considera “pretesi metodi di ordinamento, in quanto nessuno di essi è archivisticamente valido”, suggerendo come essi possano servire “per ordinare una collezione di documenti, ma non certo un archivio” (Lodolini, Archivista, 14. ed., 2011, p. 148).

[5]Gli archivisti olandesi accennano all'inconveniente dei documenti legati, i quali, essendo contraddistinti da parecchie date, “non possono trovar posto in un archivio diviso cronologicamente, e ne deriva perciò la conseguenza piuttosto ridicola, che la parte più importante dell'archivio (i volumi) resta esclusa dall'inventario […] essendo impossibile scomporre i volumi”. Gli studiosi spiegano che gli inventari cronologici si limitano quasi tutti al Medioevo “poiché il numero ristretto dei documenti in questione, e specialmente la scarsità relativa di volumi o filze non lasciano scorgere gli svantaggi di un tal ordinamento archivistico” (Muller, Feith, Fruin, Ordinamento e Inventario degli Archivi, traduzione libera con note di Bonelli e Vittani, 1908, p. 23).

[6]Il concetto di archivio diplomatico, diffusosi a partire dalla Toscana alla fine del secolo XVIII, consiste nell’estrapolazione delle pergamene da vari archivi, riunite in un unico fondo sulla base di una disposizione cronologica.

[7]Romiti, Il metodo storico e la teoria del vincolo unico “polimorfo”, 2009.

[8]Casanova, Archivistica, 2. ed., 1928. Secondo Barone, il metodo cronologico “può adoperarsi per ordinare un archivio di piccola mole, se tale ordinamento sia sussidiato da un bell'indice alfabetico di nomi di persone, di cose e di luoghi; ma non già per un archivio, che comprenda migliaia e migliaia di filze, fasci, volumi d'atti, dove non sarebbe facile la compilazione di un indice siffatto. Si avrebbero miscellanee” (Barone, Lezioni di archivistica, 1914, p. 97). A parere di Mazzoleni, il metodo cronologico “deve rientrare come elemento necessario in tutte le riorganizzazioni archivistiche ma deve essere seguito nell'ambito dell'organizzazione costituita, in epoca limitata nel campo della sua naturale evoluzione” (Mazzoleni, Lezioni di archivistica, 1962, p. 75).

[9]Casanova, Archivistica, 1928, 2. ed., p. 203.

[10]Lodolini precisa che “attualmente si intende per ordine alfabetico quello per cognome; ma in passato, fino al sec. XVII ed anche al XVIII, si intendeva per ordine alfabetico quello secondo il nome proprio. Per nome proprio sono indicate, per esempio, le parti degli atti notarili nelle rubriche alfabetiche che spesso si trovano all'inizio dei volumi di atti dei notai” (Lodolini, Archivistica, 14. ed., 2011, p. 150).

[11]In questo caso, Lodolini rileva la criticità legata a località, stati, vie e piazze che cambiano nome, di cui occorrerebbe conoscere tutte le successive varianti, oltre al problema della presenza di due o più luoghi nello stesso documento (Lodolini, Archivistica, 14. ed., 2011).

[12]Il metodo può essere definito, rispettivamente, ordinamento alfabetico onomastico e alfabetico-geografico. Tamblé segnala anche il caso di un ordinamento alfabetico per materie, basato su termini indicanti suddivisioni in materie specifiche (Tamblé, L'archivio moderno, 1981). Mazzoleni, al contrario, sostiene che nell'ordinamento alfabetico degli atti “la iniziale di un nome indice non può essere la materia contenuta nell'atto, ma solo riferirsi alla persona o al luogo da cui proviene” (Mazzoleni, Lezioni di archivistica, 1962, p. 74).

[13]Casanova, Archivistica, 2. ed., 1928. A tal proposito, Giordano afferma che l'ordinamento alfabetico “ha bisogno di essere integrato da quello cronologico, perché non è difficile che si verifichi il caso di trovare diversi documenti sotto lo stesso indice onomastico e geografico ed allora soccorrerà, come ulteriore mezzo di ordinamento, la data” (Giordano, Archivistica e beni culturali, 1978, p. 144).

[14]Casanova, Archivistica, 2. ed., 1928. Giordano accenna all'adozione del metodo “solo in alcuni casi speciali e per una serie di atti di numero limitato, per i quali sia evidente l'interesse ad individuare, subito, le persone o i luoghi” (Giordano, Archivistica e beni culturali, 1978, pp. 144-145). Mazzoleni conferma che la sua applicazione “può essere adattata a fondi limitati, dove lo smembramento degli atti per collocarli nell'ordine alfabetico non danneggia l'organizzazione cronologica del nucleo originario” (Mazzoleni, Lezioni di archivistica, 1962, p. 74).

[15]Salvati, Orientamenti archivistici, 1979, p. 56.

[16]Vagnoni, Archivistica, 1972, p. 94.

[17]Giordano, Archivistica e beni culturali, 1978, p. 144.

[18]Barone, Lezioni di archivistica, 1914, p. 98.

[19]Casanova, Archivistica, 1928, 2. ed., p. 206.

[20]Denominato da Casanova “principio dell'appartenenza o territorialità” (Casanova, Archivistica, 2. ed., 1928, p. 213).

[21]Lodolini, Archivistica, 14. ed., 2011.


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