Pagine di santità recuperate: Beatrice Palmieri da Moliterno e Fra Francesco da Montesano.

di Antonio Rubino

Un manoscritto del 1766 tramanda importanti notizie biografiche di religiosi francescani morti in concetto di santità [1]. Alcune di queste notitie sono state sepolte dall'oblio nelle comunità dove queste persone avevano vissuto. Recuperarle permette non solo di ripristinare "pagine di santità", ma anche ricostruire spaccati di vita dei secoli passati.

In questo manoscritto troviamo due Notitie che riguardano la storia del Convento di Santa Croce di Moliterno (Pz) che erano state completamente dimenticate. 

Una è riferita ad un frate che visse e morì in questo convento nel corso del Seiecento, Fra Francesco da Montesano. L’esordio della descrizione del frate colpisce molto:
«fu religioso di molta perfetione, fu di molto credito presso il secolo. […] e mai stava in ozio, anche quando era vecchio, ma o fatigava nell’orto, o nell’oratione, o in altro impiego dell’ubbidienza».
L’incipit, prima ancora di esaminare la figura di Fra Francesco, ci permette di ricostruire un pezzo della vita del convento, dove i frati oltre alla preghiera avevano i loro compiti. Potevamo incontrare muratori, artisti e falegnami; di Fra Francesco sappiamo che si dedicava all’orto o ad altri impieghi che gli venivano assegnati. Leggiamo poi del rapporto con il popolo dei frati francescani, trovando ancora una volta confermata la sostanziale “simpatia” verso di loro.
Continuando a leggere dal manoscritto del 1766, ricaviamo gli attributi di questo frate che contribuirono senza dubbio a renderlo così amato:
«era poverissimo, pazientissimo, caritativo con tutti, modesto nelle sue azioni, fu in gran grado dotato da Dio della Grazie dell’Estasi».
Riguardo a questo dono divino posseduto da Fra Francesco, leggiamo da una Cronaca seicentesca, opera di Bonaventura da Laurenzana, un aneddoto legato alle estasi di questo frate che, nella vivacità della descrizione, mostra dei particolari utili alla ricostruzione della biografia ed anche della vita dei conventi.
Fra Francesco da Montesano, secondo la cronaca di Bonaventura è:
«huomo di molta santità, humile, astinente, silentiario, orante, vigilante e d’ogni altra virtù religiosa ripieno»[2]
I toni di padre Bonaventura sono un tantino più celebrativi, cosa che spesso fa dubitare di alcune sue ricostruzioni, ma riguardo alle estasi di Fra Francesco varie fonti riportano gli aneddoti così come descritti anche da Bonaventura, il quale però vi aggiunge coloriti passaggi che ne rendono la lettura appassionante:
«Fra gli altri doni che Dio gli concesse dopo l’haver molti anni faticato egli nella sua casa, e dopo essersi molto tempo essercitato nelle rigorose penitenze, e mortificazioni della sua carne, e nella santa contemplazione; una fu il tirarlo a se più fiate con meravigliose estasi, e ratti, come moltissime volte in vari luoghi si vidde».
Fra Francesco proveniva da un paese confinante con Moliterno, ma prima di giungere nel convento di Santa Croce era stato in altri luoghi francescani. I frati tra XVI e XVIII secolo potevano dimorare  in più conventi, rispettando il voto di obbedienza ai superiori. Obbedienza che fu tra le grandi virtù di Fra Francesco da Montesano di cui si ricorda la sua permanenza nel convento di Salandra (Mt). Proprio mentre si trovava in questo convento avviene uno degli episodi maggiormente importanti della sua vita. Lo leggiamo seguendo il racconto di Bonaventura:
«stando questo buon frate nel convento della Salandra, giunse ivi il commissario Visitatore d’essa Provincia, quale informatosi della vita di questo servo di Dio, gli fu da tutti risposto essere un santo».
Il Visitatore, stando alla cronaca di Bonaventura, intende approfondire la questione delle estasi di questo frate
«di brutto aspetto ma di costumi santi, piacevole et affabile nel parlare».
Evidentemente dovette sollevarsi il dubbio che Fra Francesco fingesse di andare in estasi per non impegnarsi nei lavori del convento, infatti il Superiore, la sera stessa del suo arrivo a Salandra:
«in pubblico Refettorio li fece un’aspra riprensione, e li comandò che esso solo dovette fare tutti gli uffici della casa, come, Porta, Cannava, Cucina, Infermeria e cerca; incaricando con molta premura il guardiano, che così facesse puntualmente eseguire».
Membri eminenti dell'Ordine mettono alla prova il frate, ma divengono per noi preziosi testimoni. Fra Francesco viene caricato di tutte le incombenze del convento: tra il fare il portinaio e il cucinare per gli altri, fra Francesco dovette trovare il tempo anche di badare agli ammalati e cercare l’elemosina per il sostentamento della casa. 
Questa era la vita di un convento francescano della prima metà del ‘600.
Ma il frate caricato di tanti ordini non si lamentò, bensì accettò tutto con grande letizia, come apprendiamo dalla vivace cronaca seicentesca dalla quale continuiamo a leggere:
«accadde la mattina seguente, che furono portati ai frati alcuni pulli, quali mentre da lui si stavano spennanno per apparecchiarli, sentendo il segno della campana per farsi l’oratione, lasciò il tutto imperfetto e la cucina aperta»[
e corse velocemente in Chiesa, si prostrò dinanzi all’Altare del Santissimo Sacramento e proruppe in un grido:
«à, à, à, amore, chi non t’amasse?»
e mentre così urlava si sollevò da terra
«circa 25 palmi in alto ed andò ad attaccarsi con le braccia alli piedi d’un Crocifisso di rilievo, che posto ne stava sull’architravo d’essa Chiesa, e ciò fu alla presenza delli Signori Duca, e Duchessa di detta Terra, e della loro Corte, e d’altri Cittadini, essendo anche nel coro li frati».
E con i frati, nel coro, c’era anche il padre Visitatore che, nel tumulto generale fu preso come gli altri da grande stupore per l’evento straordinario. Si recò quindi da fra Francesco e gli chiese di scendere di nuovo in terra e il buon frate, in segno di ubbidienza per il suo superiore, discese.
Il racconto di Bonaventura sembra dunque concludersi con una grande lezione, sia per il Visitatore che per noi lettori moderni, forse poco pratici di umiltà.
Le estasi, i doni divini e i “costumi santi” di questo frate iniziano ad essere conosciuti nell’ambito della Provincia e lo precedono nei luoghi dove giunge: nel Convento di Santa Maria della Neve a Laurenzana e poi nel Convento di Santa Croce a Moliterno.
Siamo intorno agli anni ’30 del ‘600 e il Convento di Santa Croce, da poco edificato, accoglie questo frate dalle grandi virtù e, ben presto, anche la storia di questo luogo si lega alle vicende straordinarie di Francesco da Montesano.
«Stando egli nel convento di Moliterno, sentendo leggere a mensa la vita di un Santo della nostra Religione, fu dalla vehemenza dello Spirto, elevato in estasi, con gli occhi rivolti al cielo, nel quale modo stette per un spatio d’un hora».
Un episodio intriso dello stile agiografico seicentesco narra di quando Fra Francesco si intratteneva nel chiostro a discutere con un gentiluomo di passaggio e cercava di dissuaderlo nel cadere «nelle sozzure della sensualità», si infervorò così tanto nel parlare dell’amore di Dio che corse nella Chiesa dove
«con le braccia aperte restò elevato in estasi».
Era ormai anziano il buon frate quando giunse a Moliterno, secondo quando riportato nella Breve enarratione [3], aveva indossato l’abito francescano per 40 anni, da semplice fratello laico. Anche se anziano, non era mai ozioso ma sempre attivo nella semplice vita quotidiana del convento, nonché come maestro dei novizi e dei laici per la sua grande affabilità nel parlare sempre di Dio.
L’umile Fra Francesco entrò con la sua semplicità nella storia del francescanesimo lucano e di Moliterno. In questo paese fu accolto ed amato, addirittura
«i popoli di detta terra se l’affettionarono di maniera per il suo buon esempio e sante virtù che nell’hora della sua morte ciascuno stimava assai haver per sua memoria e divotione uno grumo della sua corona o un poco di panno del suo habito e infine alcune coselle che fusse tolta da lui per minima che fusse».
Il senso di devozione verso Fra Francesco che emerge da queste righe è fondamentale per comprendere l’amore del popolo verso alcune figure francescane. 
Storie come quelle di Fra Francesco recuperate dall’oblio riaccendono la luce su alcuni aspetti importanti soprattutto della storia della devozione popolare. Infatti, fra Francesco «morì come appunto era vissuto» nel convento di Santa Croce di Moliterno il 21 marzo del 1638, acclamato come santo e venerato grandemente dopo la sua morte.
L’acclamazione di santità e la venerazione per il frate di Montesano era tale che alla sua morte l’Arciprete del tempo, Don Giovanni Parisi,
«li fece fabbricare una cassa di legno, nella quale fu riposto il suo venerabil corpo nella sepoltura dei frati».
Fu venerato per molti anni a Moliterno come Servo di Dio e leggiamo nel Ristretto che di questo frate si leggono notizie in alcune «fedi autentiche» e alcuni manoscritti che parlano anche di miracoli operati da Dio per mezzo di questo frate, sepolto ancora oggi nella Chiesa di Santa Croce di Moliterno.

Così come è sepolta nella Chiesa di Santa Croce una donna di grandi virtù. Beatrice Palmieri da Moliterno, morta in concetto di santità, nata e vissuta in questa terra e della quale conosciamo alcuni elementi biografici molto significativi ed anche l’ubicazione della sua sepoltura nella chiesa.
La storia della Serva di Dio Beatrice Palmieri da Moliterno, purtroppo anch’essa dimenticata nel corso dei secoli come quella di Fra Francesco, racconta ancora di una grande venerazione ricevuta in vita e dopo la sua morte per la sua fama di santità.

Durante la sua vita Beatrice Palmieri fu molto amata e, dopo la sua morte, da diversi posti della Val d’Agri giunsero persone in pellegrinaggio alla sua tomba. Riannodare i fili della memoria serve non solo a far luce sulla storia di una donna che condusse una vita esemplare e morì in concetto di santità, ma anche a fornire un contributo alla storia generale religiosa e sociale lucana.
Leggiamo nel Ristretto che Beatrice Palmieri era sorella del Terz’Ordine Francescano. Già nella prima metà del ‘600 era attiva una comunità di terziari attorno al Convento francescano.
Beatrice nacque a Moliterno intorno all’anno 1637 e
«dimorò da religiosa in sua casa. Per le sue rare virtù di pazienza, astinenza ed orazione era tenuta in gran concetto da tutto il popolo».
Ancora una volta ricorre questo elemento di riverenza del popolo, in questo caso per una donna che aveva scelto di vivere una vita religiosa, ma anche in questo caso una donna del popolo amata dal popolo. È questo l’elemento ricorrente, l’origine di queste figure così amate che condividevano con gli umili diversi aspetti della vita quotidiana ma che si distinguevano per le loro virtù che le rendevano degne di amore e venerazione.
Del rispetto dei cittadini di Moliterno per questa donna leggiamo anche nella Cronaca di Bonaventura da Laurenzana che, in questo caso, sembra essere davvero una fonte privilegiata, in quanto apprendiamo da un Leggendario Francescano[4] del 1722 che padre Bonaventura fu confessore di Beatrice Palmieri e conosceva i fatti narrati personalmente.
La terziaria francescana era figlia di Andrea Palmieri e Lisa Torraca, anch’essi moliternesi
«quali benché d’humile conditione fussero, furono nondimeno d’honeste fameglie e timorati di Dio, come dal frutto che produssero può argomentarsi».
Beatrice, figlia di quel "popolo minuto" che era la classe sociale preponderante nei comuni della Provincia nella metà del ‘600, attirò la stima dei suoi concittadini ed ebbe particolare riverenza perché le veniva riconosciuto un dono straordinario, quello della profezia. Pensando alla concezione religiosa del contadino del sud nel XVII secolo, spesso si è portati addirittura a pensare che era diffusa una confusione tra riti magici e religione, per cui potendo vedere con gli occhi di un contadino moliternese di quel periodo le vicende della vita di Beatrice, avremmo contezza dello stupore, dell’importanza e della devozione che questa donna fece scaturire.
Racconta la Cronaca di Bonaventura di Laurenzana che la giovane Beatrice un giorno, recatasi in un luogo a raccogliere «delle fronde di celzi», fu presa da grandissimi ed improvvisi dolori e rapita in un’estasi. La quindicenne Beatrice da quel momento in poi restò inferma, per sempre costretta al letto per aver perso l’uso delle gambe e afflitta da grandi dolori ma dimostrando
«sì invitta patienza, che faceva veduta d’un altro Giob, benedicendo sempre il Signore».
Viveva sopportando pazientemente la sua malattia che la faceva apparire «quasi secca dalla metà in giù» e martoriata da una serie di piaghe di cui cinque in particolare la tormentavano più di altre e
«queste erano da essa tenute in memoria delle cinque piaghe del Redentore, perciò non volle mai che si serrassero tenendovi materia dentro per spazio di 33 anni, quando per mezzo della morte temporale, con le luci del corpo si chiusero».
Viveva in continua contemplazione ma non in ozio, lavorava come ricamatrice e insegnava quest’arte alle fanciulle di Moliterno, alle quali oltre all’uso dell’ago insegnava il valore delle virtù cristiane. Un elemento, questo, preziosissimo per aprire una finestra sulla vita quotidiana a in un paese lucano nel XVII secolo, quando era già viva la tradizione del “lavoro dell’ago”, tramandato fino ai giorni nostri, con l’usanza per le giovani di recarsi presso l’abitazione di una donna che fosse maestra di quest’arte.
Della sua vita spirituale meglio di altri può raccontarci quello che probabilmente fu il suo confessore; leggiamo dunque da Bonaventura da Laurenzana:
«Nell’astinenza fu ammirabile, oltre li digiuni ordinarij faceva, n’erano moltissimi in pane e acqua. Nel parlar di Dio, e d’altre cose spirituali era efficacissima, come anche in consolare le persone tribulate, ch’à lui per tal’effetto ricorrevano.
Fu dalli diabolici assalti bersaglio, affatigandosi quei maligni in varie forme atterrirla per farla dalla spirituale battaglia retrocedere, ma in vano, già che ella con tal mezo più strettamente s’univa col suo Signore. Alcune volte procuravano atterrirla, con farsi sotto spaventevoli forme vedere, come di serpe, nel qual modo al suo braccio, e al collo se l’avviticchiavano, per il che ella si dava a vociferare, ed a piangere, con spavento, e compassione anche de circostanti che l’udivano. Altre volte facevano strepito con strascinare per dentro e fuori della sua stanza pelle vaccine ruvide ».
Contemplazione, digiuni e consolazione degli afflitti ma anche infermità patite con docilità e assalti diabolici respinti con la forza spirituale di chi
«volle nella livrea dell’Ordine de’penitenti di S.Francesco ruollarsi, per poter meglio con la protettione di sì S. Padre, e colla scorta dè suoi figli, per il sentiero della virtù, più sicuramente correre, come esemplarmente fece».

Gli episodi significativi della vita di Beatrice lasciano al lettore di oggi diverse attestazioni di abitudini, stili di vita, credenze e tradizioni della comunità di Moliterno. Immaginiamo la casa della donna che, inferma nel suo letto, insegna l’arte del cucito alle fanciulle del popolo, istituendo nella sua abitazione una sorta di catechismo per queste ragazze che non ricevevano altra istruzione. Pensiamo al parlottio dei popolani sulle lotte che la santa donna intratteneva con presenze demoniache che, senza dubbio, spaventavano e stupivano i contemporanei. E poi leggiamo di fatti che, così come narrati da Bonaventura, sono una cronaca di vita di della metà del ‘600 e che per la loro unicità sono di grande pregio storico e ci forniscono notizie di rilevanza sulle tradizioni storiche del paese. Come quella della processione del Cristo morto nel giorno del Venerdi Santo, tradizione che ancora oggi è viva e nel ‘600 era giù un’usanza consolidata. Infatti, è durante questo giorno che avviene un evento straordinario della vita di Beatrice Palmieri:
«Nel Venerdi Santo, mentre si faceva la processione conforme al solito in sua Patria stando agonizzando vicino alla sua casa una donna detta Santilia, ella vidde di vicino dodeci Demonj vestiti, altri di roscio, ed altri da Chierici con le Berrette piane, che gran strepito facevano; ella a compassione mossa, si fe condurre in casa di quell’agonizzante, quale raccomandando caldamente al Signore la consolava, ed esortava ad havere il Divino timore, e tanto quel Santo esercizio s’accese, che molto sudò, e vedendo spariti quei maligni spiriti, tutta consolata si fe in sua casa riportare»
La dovizia dei particolari, i nomi inseriti nei racconti e le circostanze delle tradizioni che Bonaventura inserisce nel racconto, rendono la sua biografia preziosa non solo per informazioni date ma anche per un aspetto di veridicità che lo fa apparire davvero testimone dei fatti raccontati.
Ma la eccezionalità della vita di Beatrice Palmieri non manca di episodi che mostrano elementi di straordinarietà:
«Un’altra fiata fu dalli Demonij presa, ed in folta siepe buttata, ove raccomandandosi al glorioso Sant’Antonio da Vienne, detto da lei S. Antonio delle Tentationi, di cui era molto divota, fu da quello soccorsa, e nel suo letticciolo riportata».
Bonaventura racconta di Beatrice, lasciando davvero intendere di conoscerla e di sapere delle sue devozioni, dei suoi modi di agire e parlare. Bonaventura da Laurenzana, autore della Cronaca sulla Riforma, è un frate francescano riformato, che ebbe ruoli di prestigio nell'ordine  fu postulatore della causa di beatificazione di Egidio da Laurenzana. Sappiamo che la Serva di Dio era molto vicina ai frati di quest’ordine, la sua vita vissuta nel misticismo si lega soprattutto sul piano spirituale a quella del convento. Leggiamo ancora da Bonaventura che ella:
«desiderava molto havere la presentia del suo P. Spirituale, perché all’entrare faceva quello in sua casa, vedeva visibilmente uscire per la fenestra un’opaca ombra, restando perciò la sua stanza illuminata, e purgata dall’ombra, che l’oscurava».
Non solo, la terziaria francescana Beatrice desiderava la confessione molto spesso e vive tale dimensione della sua fede nella misericordia di Dio con il sostegno dei suoi padri spirituali:
«tanto viveva quieta quanto si confessava, ed hauria voluto confessarsi molte volte il giorno, se dalla comodità, e volere dè Padri Spirituali li fusse stato permesso, come faceva quando mendicato chi la conducesse in Chiesa, quivi trovava chi l’ascoltasse»
Ed è rispetto a questa sua volontà di comunicarsi spesso che scopriamo che l’autore della Cronaca da cui apprendiamo le notizie su questa Serva di Dio moliternese fu il suo confessore:
«Era tanto profonda nel parlare quando confessavasi, che il Confessore più delle volte non l’intendeva, ed usava gran fatica in farla spiegare, come a me più fiate accadde, e ciò era per la profonda mistica Teologica, che il Signore infusa l’havea» .
Non è solo un racconto tramandato dal popolo quello di Beatrice né si tratta del frutto della ricostruzione di un credulone; è il suo confessore, un uomo dotto come Bonaventura a riportare la sua testimonianza sulla vita di questa donna, raccontandone con naturalezza alcuni episodi che si infarciscono di particolari che riportano alla quotidianità ed alle usanze di quel tempo. Beatrice aveva visioni di Anime del Purgatorio e accade che
«con grand’istanza pregò una volta sua madre (quale era in bassa fortuna) che in tutti i modi procacciasse un carlino, quale havuto, lo diede ad un Sacerdote per una Messa per quell’Anima, quale celebrata, l’apparve, ringratiandola della carità fattali, come ella l’havea pregata, e che già se ne giva in Paradiso.»
Non mancano riferimenti ad altri luoghi di Moliterno legati alla vita della pia donna francescana:
«Stando una mattina questa Serva di Dio in oratione nella Chiesa dè Padri Domenicani udendo il segno della campana, che si levava il Santissimo Sacramento della Chiesa maggiore, tanto s’infervorò, che fu elevata in estasi, nella quale per buon pezzo di tempo dallo Spirito del Signore fu trattenuta, con stupore ed edificazione dè circostanti»
Mentre era ancora in vita, Beatrice Palmieri ottiene grazie dal Signore per alcune persone che alle sue preghiere si raccomandano, come nel caso di una donna
«che s’era alle sue orationi raccomandata, ritornata a lei, disse: và in pace, che già il Signore t’ha concesso la gratia, che bramavi, e così accadde».
Una donna che ottiene miracoli, che viene vista in estasi, che conduce una vita di grande sofferenza con pazienza e virtù non poteva che esser acclamata dal suo popolo come santa. Come sempre accade per figure di tal genere, è il momento della morte corporale che assume importanza nella vicenda biografica. Così è anche per Beatrice Palmieri che muore in Moliterno il 5 novembre del 1678:
«con l’occhi elevati, con far soleva quando qualche gran mistero contemplando stava; col volto sereno, come fusse lietamente viva, e benché d’humile sangue fusse, e d’anni 48 in circa, appariva nondimeno di sangue nobile nel sembiante, e di non più che d’anni venti».
Il racconto sembra voler lasciare un messaggio edificante, esemplare: dopo le sofferenze della vita terrena, la serenità della vita eterna ringiovanisce il corpo martoriato dal dolore di questa donna che sempre aveva vissuto in povertà e contemplazione. E come avviene sempre quando muoiono persone in concetto di Santità, si susseguono eventi straordinari. Alla morte di Beatrice Palmieri
«concorse gran Popolo per baciare il suo corpo, associarlo alla sepoltura, ed havere reliquia del suo habito, col quale Dio dimostrò la virtù della sue serve fedele».
Una gentildonna di Moliterno che aveva perso l’appetito perché vittima di un maleficio, viene subito guarita ponendosi addosso un pezzo dell’abito della Serva di Dio. Mentre
«nell’hora del suo transito tutta risplendente, accompagnata da gran numero di Religiose del suo Ordine, apparve ad una donna detta Isabella della Saponara, alla quale come sua divota più volte era andata dalla sua Patria a visitarla, se l’era raccomandata Beatrice, col dirli : recitasse per essa un Paternoster e un’Ave Maria al preziosissimo Sangue di Christo, che ivi trovasi, e nell’apparitione li disse: Isabella, governati, perché io adesso me ne vado in Paradiso, e ciò detto sparve».
Beatrice ha dei devoti nei paesi limitrofi. Viene citata tale Isabella di Saponara (odierna Grumento Nova) che si era recata a Moliterno in visita alla Serva di Dio e, questa, nel momento della sua morte, le appare raccomandandole preghiere al Sangue di Cristo, famosa reliquia della città di Saponara.
L’intreccio tra storia locale e storie locali diviene fitto nel racconto della vita della Serva di Dio Beatrice Palmieri che verrà inserita nel Martirologio Francescano che ne riporterà la memoria al giorno 5 novembre[5].
Non è quindi un azzardo supporre che la sua tomba sia stata meta di devoti e fedeli che si recavano nella Chiesa di Santa Croce per pregare presso la sepoltura di Beatrice Palmieri che si trova presso l’altare di S.Antonio.

I profili di queste due figure permettono di riportare alla luce una pagina significativa di storia religiosa, ci consentono di ricostruire e percorrere alcuni sentieri che approfondiscono quel legame tra i francescani ed il popolo, quello della devozione popolare, delle sue usanze e delle sue tradizioni ed anche quello delle fonti di questa storia.

Le notizie che ci pervengono parlano di una memoria e di una devozione che, nel corso dei secoli, si sono affievolite per una serie di motivi. La chiusura del convento con le soppressioni del primo ‘800 ha interrotto una continuità di tradizioni, tra cui quelle relative a Beatrice Palmieri e Fra Francesco da Montesano. La dispersione degli archivi e il lungo vuoto di presenza francescana, colmato soltanto nel 1937, hanno spezzato il filo della memoria, ora da riprendere.


Una parte di questo articolo è un capitolo del mio libro A. Rubino, La Basilicata in età moderna: storia sociale e religiosa a Moliterno. Il Convento Santa Croce, Moliterno, Valentina Profidio Editore, 2014.
[1] Archivio Storico della Provincia Salernitanto-Lucana dei Frati Minori, Fondo Provincia Osservante e Riformata della Lucania o Basilicata, n.26. Ristretto della Provincia riformata di Basilicata in rapporto dei religiosi illustri che l’hanno decorata con dottrina e santità. Il manoscritto è una relazione mandata a Roma nel 1766 da padre Giovanni da Pisticci che si basa essenzialmente sulle cosiddette “Fedi autentiche”, le notizie circa la santità, pietà e dottrina e incarichi di frati eminenti. Si tratta di una fonte abbastanza attendibile e che non usa toni apologetici come è spesso per le vite dei santi, cosa che avvalora il pregio storico del manoscritto.
[2] Bonaventura da Laurenzana, Cronoche della Riforma di Basilicata, Napoli, 1682, p. 237
[3] Archivio Storico della Provincia Salernitanto-Lucana dei Frati Minori Fondo Provincia Osservante e Riformata della Lucania o Basilicata, n.37, Breve enarratione (...), p. 217.
[4] Benedetto Mazzara, Leggendario Francescano, 1722, pp. 39-41.
[5] Beatrice Palmieri è riportata nel Martirologio francescano del Padre Arturo da Monastero, verrà poi eliminata nelle edizioni della fine del XIX secolo. Nel Leggendario Francescano del 1722 (Benedetto Mazzarra, 1722, pp. 39 – 41) al giorno 5 novembre viene riportata la memoria di Beatrice Palmieri con notizie sulla sua vita riprese da Bonaventura da Laurenzana che viene qui presentato come il confessore della Serva di Dio. Sempre al giorno 5 novembre viene riportata la memoria di Beatrice Palmieri nell’opera L’anno Francescano del padre Fulgenzo Maria Riccardi di Torino. 


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