La peste del Trecento e il dibattito storiografico: la storia può dirci qualcosa sulla pandemia del coronavirus?

di Antonio Rubino

I parallelismi storici non sono sostenibili. Tuttavia, la comparazione delle vicende storiche può invitare ad alcune riflessioni.
La pandemia di covid19, il corona virus, che ha bloccato il mondo, ha fatto fiorire molti parallelismi storici che, se non altro, oggi sono utili per riscoprire alcuni aspetti del dibattito storiografico e delle vicende del passato. Quantomeno, abbiamo un'occasione di confrontarci con la grande moltiplicazione di esperienze che si ha quando si studia la storia, così da guardare al futuro con mente "aperta".

E' ricca di spunti interessanti, ma storicamente confutabile, la ricostruzione di un'analogia tra la pandemia del 2019 e l'epidemia di Spagnola che seguì la Prima Guerra Mondiale. Potrebbe risultare altrettanto ricca di nuove riflessioni sul presente la relazione che alcuni vorrebbero instaurare tra la Spagnola e l'ascesa del Nazismo: questione alquanto complessa e tesi molto difficile da sostenere. Nonostante ciò è possibile affermare che l'indagine storica può fornire elementi per capire se e come la pandemia può influire sulle democrazie moderne: elezioni sospese, ricorso a legislazione d'urgenza, conflitti sociali, crisi economica.

Da marzo 2019, con "il morbo" che arrivava da Oriente e colpiva l'Italia, si è sentito di nuovo parlare della peste. Nel corso del Trecento diverse ondate di questa terribile malattia colpirono l'Europa già interessata da una serie di carestie. Un male sconosciuto, rispetto al quale gli abitanti dell'Europa occidentale non erano preparati. Pensarono che la malattia derivasse dall'infezione dell'aria, motivo per il quale nelle città si accendevano dei grandi fuochi bruciando erbe aromatiche.
Si scoprirà dopo che una pulce di un ratto salito su una barca genovese aveva portato il batterio scatenante quel flagello.

Le analogie, anche in questo caso, si sono sprecate. Non ultimo perchè il termine quarantena nacque a Venezia proprio nel XIV secolo, quando la Serenissima indicò con questo termine l'imposizione di un isolamento di 40 giorni agli equipaggi in arrivo.
Ma, proviamo ad analizzare il dibattito storiografico, perchè evidenzia la complessità dei fenomeni storici  facendo emergere l'impossibilità di affrontare con superficialità questi accostamenti.



Innumerevoli furono, tra la gente comune, coloro che decedettero ...Erano i giovani e i forti che la peste soprattutto aggrediva, scriveva Geoffrey le Baker nel XIV secolo. Possiamo ben dire che le cronache della pandemia che viviamo oggi appariranno diverse agli storici di domani.

Più che altro è la valutazione della centralità dei temi economici nell’analisi storica che ha portato storici ed economisti a tormentarsi con la questione della crisi del Trecento. Ed è sotto questo punto di vista che riemergono le questioni fondanti di quella tormentata domanda degli storici dei due secoli precedenti: quale fu il ruolo della peste nella cosiddetta "crisi del Trecento"? 
La peste fu il momento di avvio della crisi oppure uno degli episodi che si sommarono alle crisi alimentari, alle problematiche legate alle variazioni climatiche e alle calamità atmosferiche, alle carestie?

Tra fine Settecento e inizio Ottocento Thomas Robert Malthus, un economista, interrogandosi sulla prolificità dei ceti sociali più bassi, nel suo Saggio sul principio di popolazione (1798) evidenziava che la crescita  della popolazione avviene attraverso una progressione geometrica (1, 2, 4, 8, 16 ecc) a fronte di una crescita dei mezzi di sussistenza che avviene con progressione aritmetica (1, 2, 3, 4, 5 ecc). La tesi sostenuta da Malthus, che contemplava  anche l'inutilità di avere atteggiamenti caritativi verso i ceti più deboli, era che quelle da noi oggi definite crisi, ossia un aumento della miseria in maniera ciclica, sarebbero circostanze utili alla collettività: aumentando il tasso di mortalità soprattutto dei ceti più poveri, le crisi provocano un riequilibrio tra demografia e risorse. In questo senso la peste del Trecento avrebbe giocato un ruolo positivo. Almeno secondo quanto sostenuto dallo storico tedesco Wihelm Abel che applicò l'analisi di Malthus proprio alla crisi del Trecento. Così come lo storico inglese Micheal Postan proponeva una lettura della crisi trecentesca del tutto positiva, in quanto l'elevata mortalità dovuta alla peste avrebbe consentito un riequilibrio con la capacità produttiva
Le tesi degli storici neomalthusani hanno avuto un buon successo e ancora oggi esiste una tesi definita "depressionista": la depressione generale e di lungo periodo del Trecento avrebbe invertito la sua tendenza con il calo demografico causato dalla peste. Il nesso tra i due fenomeni starebbe nella concentrazione delle risorse nelle mani di un gruppo ristretto di persone che ebbero quindi a disposizione capitali ingenti per nuovi investimenti nelle attività produttive, come in quelle culturali o artistiche. Non sono pochi coloro che legano i vari fenomeni creando una concatenazione che arriva fino ad affermare che il Rinascimento italiano fu possibile anche grazie a queste dinamiche. 

Bisogna osservare che la peste non fu un fenomeno che caretterizzò solo il Trecento, anche il secolo successivo vide più volte lo scoppio di violente epidemie. Inoltre, lo stesso Trecento, a fronte di questo flagello che dilagò praticamente in tutta l'Europa e della crisi economica, vide uno sviluppo culturale sorprendente (si pensi alla Letteratura Italiana e a Giotto). Una fioritura culturale che i neomalthusiani spiegano proprio con i nessi tra calo demografico e concentrazione delle ricchezze nelle mani di una oligarchia che determinò anche la nascita della borghesia.

La storiografia di matrice marxista che fondava sui rapporti economici e la produzione la caratterizzazione delle epoche storiche, si scontrò con queste tesi. Secondo Marx ad innescare la crisi del Trecento era stato il periodo di transizione tra due modi di produzione. Il Trecento era stato il secolo del passaggio dalla economia feudale verso l'embrione del mondo capitalistico che vedeva l'ascesa di una classe borghese poi diventata egemone. 

Il dibattito storiografico del Novecento si è concentrato molto sul confronto tra le due tesi. Ciò che emerge è che le carestie e la crisi economica determinarono un periodo di "recessione" aggravato dalla peste del 1348. Ma, tutti questi fatti vanno inseriti in un quadro storico che è caratterizzato da un ampio processo di trasformazione che riguardava tanto l'economia quanto la società, la cultura, la produzione. 

Inutile dire che sulle interpretazioni di questo processo globale di trasformazione le tesi sono oggi molto diversificate. E' la complessità della storia che garantisce questo dibattito.

Ciò che la storia del Trecento può dire al mondo del 2020 che vive questa pandemia non è da ricercare in forzate analogie. Bensì nella necessità di un approccio globale ai fenomeni storici che, quando vengono studiati, permettono di avere una mente aperta anche sul presente. Ma, non si dica che la storia è maestra di vita. Occorrono dei buoni allievi predisposti ad apprendere perchè la maestra insegni qualcosa. 

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